Prendo spunto da un articolo dell’Unità di qualche giorno fa’, dal titolo “quando gli operai volevano studiare il clavicembalo…”Mi ha molto affascinato sia il titolo dell’articolo sia ciò che in realtà esso nascondeva, dal contesto, all’ambientazione anche temporale, certamente suggestiva e concreta, un contesto di lavoro e di lotte, di ideali e di speranza.
Il lavoro e le lotte per i diritti, sono temi a cui sono legato a doppio filo, chi mi conosce ne capisce immediatamente il motivo, ma non è importante…
E’ certo importante spiegare il contesto storico e la metafora del titolo di questo suggestivo momento di speranza che, lungo il corso degli anni, in tanti hanno accarezzato come un sogno realizzabile.
Parliamo di lavoro dicevo, e di lavoro duro, quello degli operai metalmeccanici degli anni ’70 guidati, quelli della Cisl, da un leader forte e lungimirante come F. Bentivogli che insieme ai suoi omologhi di Cgil e Uil condusse la trattativa per l’obiettivo delle famose 150 ore per la formazione da inserire nel rinnovando Contratto Nazionale.
La richiesta delle 150 ore quale diritto allo studio – per correttezza come riporta l’Unità vennero da un’idea di B. Trentin – fu’ giustamente argomentata dal nostro, in senso ampio, non limitato alle scuole professionali.
Forse mosso da astuzia nell’argomentare-trattare o soltanto dalla voglia di dare davvero con la formazione anche una speranza, una possibilità di realizzazione fuori dal posto di lavoro, agli operai del tempo, Bentivogli affrontò la controparte a viso aperto, e quando gli venne rivolta la precisa domanda: “Secondo lei un operaio con le 150 ore potrebbe imparare a suonare il clavicembalo?”. Rispose semplicemente Sì!
E’ facile immaginare quale impatto - oggi diremmo mediatico - avesse una tale idea, l’immagine di un operaio che studiando una disciplina direi elitaria si affranca dalla sua condizione quotidiana, per vivere frammenti di una vita-altra che certamente non è la sua ma che può almeno parzialmente far sua.
Alimentare in tal modo, con l’istruzione quella speranza, che traguardando la sua quotidiana e più familiare “catena di montaggio” migliorasse le vite dell’individuo e della comunità.
Come argomentato da T. Lettieri, “in quell’apologo del clavicembalo c’era l’idea che puoi sposare il tuo lavoro manuale con l’interesse intellettuale, ed impadronirti di una tecnica e di una cultura che ti sono rimaste estranee”.
E’ un’immagine che ho ben chiara nella mia testa, fissa e nitida che mi accompagna quotidianamente da anni: ognuno ha dei talenti dentro di se, la sua condizione lavorativa non può essere considerata un limite, un ostacolo alla sua crescita personale, alla moltiplicazione delle sue sfaccettature di uomo, che lo renderanno più luminoso agli occhi suoi e del mondo.
Il sapere rende liberi, l’ignoranza schiavi, per affrancarsi è necessario sapere, la strada è in salita ma la ricompensa è assicurata!
Io ne sono sicuro, gli operai un giorno riusciranno a suonare il clavicembalo!
nanni
