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Gli scrittori, una razza di guardoni

Da Andreapomella

Gli scrittori, una razza di guardoniOnestamente, di cosa dovrebbe parlare la letteratura? Ieri pomeriggio rileggevo alcune cose di David Foster Wallace, immerso com’ero in un pomeriggio radioso e saturo di pensieri, cose che avevano a che fare con la missione degli scrittori nel mondo, il senso della letteratura e la connessione della narrativa con le arti dello spettacolo. E mentre leggevo, appuntavo mentalmente alcuni concetti che trovavo rigorosamente interessanti. Frasi come questa: “Gli scrittori tendono a essere una razza di guardoni. Tendono ad appostarsi e a spiare. Sono osservatori nati. Sono spettatori. Sono quelli sulla metropolitana il cui sguardo indifferente ha qualcosa dentro che in un certo senso mette i brividi. Qualcosa di rapace. Questo è perché gli scrittori si nutrono delle situazioni della vita. Gli scrittori guardano gli altri esseri umani un po’ come gli automobilisti che rallentano e restano a bocca aperta se vedono un incidente stradale: ci tengono molto a una concezione di se stessi come testimoni”. Non c’è niente di male che un incosciente con ambizioni di scrittore come me si interroghi sulle questioni che attengono alla materia di cui dovrebbe occuparsi la letteratura oggi. Anni fa rimasi scettico davanti a un articolo di Mauro Covacich in cui si sosteneva che gli scrittori italiani, secondo lui, avrebbero dovuto parlare di più dei fatti del loro tempo, cosa con la quale in linea di principio potevo essere anche d’accordo, se non fosse che per “fatti” in quell’articolo si intendeva “fatti di cronaca”, come il caso di Unabomber (di cui tra l’altro Covacich si è largamente occupato). La piega che ha preso la letteratura italiana contemporanea nell’ultimo decennio, va detto, è perfettamente nel solco di quegli auspici di Covacich. I fatti della cronaca d’Italia, presenti e passati, hanno preso il sopravvento sulle pure storie d’invenzione, in particolare la cronaca nera che, si sa, esercita da sempre un discreto fascino sulla fantasia dei lettori. Ma quello che penso io è che filtrare storie di cronaca che appartengono già di per sé all’immaginario collettivo di una comunità nazionale non significa, banalmente, raccontare il proprio tempo. Sappiamo molto di più dell’ascesa della media borghesia nella Francia del diciannovesimo secolo attraverso un personaggio d’invenzione come Madame Bovary che dalle cronache scandalistiche del tempo. Per questo credo che la letteratura odierna nel parlare della nostra epoca non dovrebbe tralasciare di guardare agli esseri umani che affollano la storia ogni giorno, quelli che apparentemente non serbano tracce di bellezza, quelli di cui non si occupano i giornali e le Tv, quella gente a volte chiassosa a volte silenziosa che siede alle nostre tavole, guarda il nostro sole tramontare, ascolta lo stesso ronzio di autobus.


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