Gli spettri della russofobia: cronaca del terzo seminario del Colloquium IsAG 2013

Creato il 01 giugno 2013 da Geopoliticarivista @GeopoliticaR

Dopo un primo incontro dedicato ai vent’anni della Costituzione russa e una conferenza sulla dottrina della democrazia sovrana, il Colloquium Italo-Russo 2013 dell’IsAG si è chiuso con il terzo e ultimo seminario, dedicato al tema della russofobia, che si è tenuto giovedì 23 maggio presso il Centro russo di Scienza e Cultura a Roma. L’evento si è svolto in collaborazione con l’Institut de la Démocratie et de la Coopération di Parigi, partner dell’IsAG, e ha visto la partecipazione del suo Direttore, il filosofo britannico John Laughland, della storica Natalija Naročnickaja, Presidente del Fond Istoričeskoj Perspektivy di Mosca, e di Ekaterina Naročnickaja, professoressa presso l’Accademia delle Scienze della Federazione Russa. Nel corso dei lavori, presieduti dal Direttore del Programma “Eurasia” dell’IsAG Dario Citati, è stato presentato e discusso il libro di Roberto Valle, docente di Storia dell’Europa Orientale presso l’Università Sapienza, Genealogia della russofobia.

Dopo i saluti del Direttore del Centro Russo Oleg Osipov, ha preso la parola Luigi Marinelli, professore di Lingua e Letteratura Polacca presso l’Università Sapienza di Roma, che ha presentato il saggio di Valle tracciando un profilo storico dei difficili rapporti fra Russia e Polonia. Marinelli ha sottolineato come molto spesso l’accusa di russofobia rivolta alla cultura polacca sia ingiustificata, a causa di una sovrapposizione tra questione politica e dimensione culturale. La critica verso alcune forme politiche realizzatesi in Russia, in alcuni casi portata avanti d’altronde dagli stessi patrioti russi – esemplare il caso di Aleksandr Solženicyn – va quindi tenuta distinta dalla percezione della cultura russa, che i Polacchi hanno giudicato in una luce positiva molto più spesso di quanto si riconosca abitualmente. La russofobia, come ogni costruzione ideologica che fa leva sulle paure individuali e collettive, è invece uno sguardo deformato sulla realtà, che proietta verso l’altro da sé un insieme di timori e stereotipi che preesistono e prescindono dalle dinamiche oggettive di incontro.

Proprio sulle forme di strumentalizzazione degli eventi contemporanei si è concentrato l’intervento di John Laughland, che ha analizzato nel dettaglio tre fra le più recenti manifestazioni di russofobia in Europa. In primo luogo la crisi di Cipro, durante la quale i mass media di molti Paesi hanno coralmente rappresentato la piccola isola mediterranea come un paradiso fiscale esclusivamente appannaggio dei Russi; in secondo luogo lo spropositato grido d’allarme lanciato dal quotidiano svedese Svenska Dagbladet, secondo cui nell’aprile scorso la Russia stava quasi pianificando un attacco contro la Svezia durante un’esercitazione militare; infine l’inusitata violenza verbale dell’eurodeputato Daniel Cohn-Bendit nei confronti dell’attore Gerard Depardieu per via della decisione di quest’ultimo di assumere la cittadinanza russa. Nei confronti della Russia le élites culturali e politiche d’Europa manifestano una tensione critica sproporzionata e unilaterale, che appare evidente soprattutto se confrontata con l’acquiescenza dimostrata in altri contesti. La ragione di questa russofobia sta nella profonda alterità che la Russia rappresenta oggi rispetto all’etica e alle istituzioni d’Europa, cioè rispetto a quel postmodernismo che ben si riflette in una struttura politica «post-nazionale» quale l’Unione Europea. Quest’ultima ha tolto sovranità agli Stati nazionali senza divenire però un soggetto geopolitico sovrano, restando perennemente sospesa in un vacuum istituzionale perfettamente speculare a quell’etica fragile e mutevole che Zygmunt Bauman definisce «liquida» e che Laughland ha rinominato «eraclitea» per via del suo infinito scorrere senza sosta e senza meta. Proprio questa condizione dell’Europa contemporanea aiuta a comprendere anche l’accanimento verso la persona di Vladimir Putin: nella misura in cui afferma il primato del politico sull’economico e l’irrinunciabile centralità potestativa dello Stato, egli rappresenta un’antitesi netta del postmodernismo.

Ekaterina Naročnickaja ha illustrato le diverse sfumature della russofobia in Europa nel XIX secolo: dall’immagine napoleonica della Russia sino alle pagine russofobe di Marx ed Engels – che non furono mai pubblicate in Unione Sovietica, dove pure era stato intitolato loro uno dei più importanti istituti di ricerca. Nell’Europa odierna, secondo la studiosa russa, la russofobia affonda le sue radici in un duplice retroterra ideologico: da una parte, la divisione dell’umanità in popoli civilizzati e popoli barbari, sulla quale si era già innervato il colonialismo d’epoca moderna; dall’altra parte, una visione universalistica che ha progressivamente tradito il suo impulso originario all’inclusione, per configurarsi come un’attitudine impositiva che fa coincidere l’universale con le espressioni contingenti della propria civiltà particolare.

Riflessioni che sono state riprese nell’intervento di Dario Citati, che ha sottolineato come la russofobia non sia da intendersi come sintomo di un’antitesi irriducibile fra Europa e Russia, bensì come esempio della discontinuità indotta dall’illuminismo e dal positivismo rispetto alla stessa tradizione europea. Benché le relazioni dell’Occidente cattolico con l’Oriente ortodosso siano state indubbiamente difficili e certo non esenti da atteggiamenti etnocentrici, è soltanto con la modernità illuminista che si fa strada in Europa l’opposizione sistematica tra civiltà e barbarie, di cui cade vittima la stessa esperienza storica della latinità cristiana, presto confinata nei ranghi di una «età oscura». Quella latinità che tuttavia era stata in grado, sino all’età moderna, di incarnare un’idea di universalità inclusiva e ben capace di comprendere l’altro da sé. Ne furono testimonianza, ad esempio, i filosofi della scuola di Salamanca del XVI secolo, che sulle basi del pensiero tomista e proprio in nome dell’universalità della legge morale naturale per primi difesero la dignità degli Indios americani criticando la conquista coloniale; oppure l’opera missionaria di Matteo Ricci in Cina, volta a predicare il messaggio religioso senza sincretismi ma con l’audacia di assumere il punto di vista dei suoi destinatari, di cui seppe apprendere talmente a fondo la lingua e la cultura da restare sino ad oggi lo straniero più noto e rispettato.

Al contempo, come ha osservato Roberto Valle esponendo il contenuto del suo saggio, la divergenza confessionale è rimasta un potente segno esteriore delle manifestazioni di russofobia in Europa. È il caso di Donoso Cortés, la cui prospettiva reazionaria viene talvolta intesa anche come una difesa della Santa Russia contro la secolarizzazione, ma che in realtà restò molto critico nei confronti dell’Ortodossia, proseguendo una linea già tracciata da Joseph de Maistre. I più duraturi stereotipi negativi sulla Russia sono forse tuttavia quelli di origine laica che affondano le radici nella russofobia anglossassone dell’epoca del Great Game, quando nel XIX secolo l’Asia centrale divenne terreno di scontro tra impero russo e impero britannico.

L’intervento finale di Natalija Naročnickaja ha ulteriormente approfondito le forme passate e presenti della russofobia. L’idea di una Russia aliena al progresso civile, dispotica e barbarica, trovò una compiuta teorizzazione in Astolphe de Custine, che non a caso è tra gli autori di riferimento di Zbigniew Brzezinski. La Naročnickaja ha quindi ricordato il pensiero del filosofo russo Kostantin Leont’ev, che nella sua mordace critica verso l’«europeo medio» – cioè verso il predominio della tecnica e del razionalismo riduzionista dell’economia classica – costituisce una risposta alla russofobia per molti versi ancora attuale. Le manifestazioni di russofobia nel mondo contemporaneo sono legate a doppio filo a quelle forme estreme di secolarismo che riducono il fattore religioso ad una zavorra del passato cui viene negata ogni dimensione di riconoscimento pubblico. Nel rispondere ad un intervento del pubblico, Natalija ed Ekaterina Naročnickaja hanno quindi argomentato come la stessa idea di tolleranza che il postmodernismo oppone alle tradizioni della Russia banalizzi il dibattito culturale subordinandolo alla political correctness e cadendo nelle aporie tipiche del relativismo. Nella misura in cui si pongono sullo stesso piano tutti i valori per dare un fondamento alla concordia sociale, si proclama infatti un’uguaglianza fra i principî di bene e di male che contraddice sé stessa quando lancia accuse di arretratezza verso le culture non-occidentali.

Il seminario conclusivo sulla russofobia ha rimarcato il profilo internazionale del primo Colloquium Italo-Russo dell’IsAG, confermando la solidità del partenariato con l’Institut de la Démocratie et de la Coopération e riscuotendo interesse da parte del pubblico presente. L’IsAG si ripromette di proporre il prossimo anno una nuova edizione ancor più ricca del Colloquium, sempre con l’intento di consolidare la conoscenza e l’amicizia tra Italia e Russia.

(Dario Citati)


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