Alcune semplici considerazioni fanno capire come le cifre diffuse dai promotori del “referendum” online sull’indipendenza del Veneto pongano serissimi dubbi.
Il corpo elettorale veneto, tolti i minori e la popolazione straniera residente, è di circa 3.700.000 individui. Per votare a questo referendum, attraverso internet, col telefono o recandosi ai seggi, bisognava possedere un codice numerico personale, che avrebbe dovuto essere contenuto in una lettera spedita per posta o consegnata a domicilio a questi 3.700.000 elettori. Al sottoscritto non è arrivato nulla, pur vivendo in provincia di Treviso, fulcro dell’organizzazione indipendentista.
La stessa organizzazione non risulta né capillare né omogenea. I seggi sparsi sul territorio veneto elencati sul sito dei promotori sono circa 120, il che significa un seggio – un locale o un gazebo – ogni 30.000 elettori circa, che già non è un gran risultato. Però il 70% di questi seggi risultano dislocati nelle province di Treviso e Padova, e spesso concentrati in alcuni comuni, e non sempre i più grandi. Il resto del 30% dei seggi se lo dividono le altre 5 province: a Vicenza una ventina, a Verona ce ne sono 6, a Venezia 5, a Belluno 3, a Rovigo solo 1. Di fatto, fuori dell’area vicentina-trevigiana-padovana l’organizzazione sembra assente.
E’ plausibile che solo una parte, forse minoritaria, del corpo elettorale abbia ricevuto la lettera col codice. Ciò comporta che per moltissimi votanti sarebbe stato necessario generare il codice mediante registrazione sul sito del comitato promotore. Registrazione piuttosto laboriosa: dati personali, documento d’identità, password, e-mail di conferma. E in ogni caso anche chi aveva il codice avrebbe dovuto poi attivarlo. Qualcuno dirà che è una sciocchezza, ma nel mondo reale dei grandi numeri la gente va in crisi anche per molto meno.
Possiamo poi scalare in via prudenziale dai 3.700.000 elettori complessivi un 15% almeno di astensionisti fisiologici o patologici, più un altro 10% di elettori che non hanno accesso a internet e che non hanno ricevuto la famosa lettera, i quali ultimi per votare avrebbero dovuto recarsi ai pochi seggi (rintracciabili solo sul sito web) o chiamare un apposito numero telefonico (che però si trova solo sul sito web) per chiedere l’aiuto di un operatore (per fare cosa?), o andare a rompere le scatole a conoscenti di presunta fede indipendentista. Tolto questo 25%, il corpo elettorale si riduce a circa 2.800.000 persone.
Possiamo inoltre calcolare, sempre in via prudenziale, su questo resto di 2.800.000 persone un 40% di elettori di centrosinistra, di sinistra (compresa una parte dei grillini) e di un nocciolo duro della destra vera e propria che, ancorché non ostili per principio a forme di autonomia, sono però sicuramente ostili a progetti indipendentisti. Il che riduce l’elettorato potenziale massimo indipendentista a circa 1.700.000.
Risultato massimo che sarebbe raggiunto a patto che tutti questi elettori, indipendentisti vari, leghisti, destrorsi vari, berlusconiani, centristi, grillini secessionisti e microscopici rimasugli di sinistra votassero compatti per l’indipendenza. Molti dopo avere fatta la trafila della generazione del codice. Il che sembra molto, ma molto difficile.
Ciononostante secondo i promotori del referendum i votanti sono stati circa 2.350.000. Sono circa 400.000 voti espressi con attivazione del codice più un numero sconosciuto ma certamente poderoso di operazioni di generazione del codice per ognuno dei sei giorni del referendum. E’ vero che molti avranno votato col telefono, o con lo smartphone, ma se erano sprovvisti di codice bisognava pure che lo generassero collegandosi al sito web. Il che suggerisce che il sito, che non si è mai bloccato, avrebbe dovuto avere, presumibilmente, un numero di contatti giornalieri a sei zeri. E tuttavia sulla sezione “news” del sito gli utenti in linea in questi risultavano in media sui 200-400, anche se non è chiaro se si riferissero al sito nel suo complesso.
I sì all’indipendenza sono stati 2.100.000, ben superiori ai fatidici due milioni necessari a «proclamare l’indipendenza», e 250.000 no. I 2.200.000 voti per il sì corrispondono al 57% dell’intero corpo elettorale veneto. Anche se il confronto non è del tutto pertinente, in una normale tornata elettorale con un tasso di astensione del 20%, corrisponderebbero a circa il 70% dei votanti. Sono numeri stratosferici.
Però a Treviso in piazza a festeggiare la proclamazione d’indipendenza c’era solo qualche centinaio di persone. Fatto significativo, ma non conclusivo: la storia non ha sempre bisogno di grandi palcoscenici. Rimane sempre possibile un’altra spiegazione: che cioè, una volta ammesso il sorprendente tasso di familiarità dei veneti con le nuove tecnologie, i figli della Serenissima di tutte le tendenze politiche abbiano voluto mandare un avvertimento e gridare il loro malcontento, senza per questo sposare tutti quanti sul serio le tesi indipendentistiche. Ci crediamo? Onestamente no.
[pubblicato su Giornalettismo.com]
P.S. Rispetto a quanto pubblicato su Giornalettismo ho corretto alcuni numeri. Avevo indicato in 2.450.00 il numero dei votanti, invece di 2.350.000, e in 2.200.000 il numero di Sì, invece di 2.100.000. In 60% e 75% le percentuali citate successivamente, invece di 57% e 70%. In sostanza, però, non cambia nulla.
P.S. 2 La mia prima impressione è quella delle adunate di piazza politiche e sindacali, quando gli organizzatori dicono 10 e la questura dice 1. Tuttavia quell’1, date le modalità del voto, il silenzio dei media, le deficienze inevitabili dell’organizzazione, non sarebbe stato affatto male. Anzi, sarebbe stato un risultato eccellente da spendere nella scena politica locale e anche in quella nazionale. La mia seconda impressione è perciò che gli organizzatori si siano impiccati all’idea della “proclamazione dell’Indipendenza” e all’idea di quei due milioni. La mia terza impressione è che l’abbiano fatto per l’italianissimo velleitarismo che contraddistingue la politica anche nel Veneto, fatta di particolarismo, suscettibilità, e piccole ambizioni.
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