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Gli studi scientifici sugli alimenti

Creato il 05 febbraio 2013 da Ariannarossoni

Vi siete mai chiesti come sia possibile che le ricerche scientifiche in campo alimentare continuino a contraddirsi? Come sia possibile che esistano studi che dimostrano una cosa, e altri studi che dimostrano l’esatto contrario? Effettivamente per chi non è del settore risulta ben difficile capire se certe raccomandazioni abbiano effettive basi scientifiche, o se si tratti di una bufala allestita a fini commerciali. Spesso è facile che anche per noi nutrizionisti e dietisti essere tratti in inganno, perché le cose a cui prestare attenzione quando si consultano studi scientifici sono molte.
Con questo articolo spero di riuscire a chiarirvi l’iter e le basi scientifiche delle ricerche in campo alimentare, spiegandovi perché certi studi sono più credibili e abbiano maggiore importanza rispetto ad altri.

L’epidemiologia è la scienza che si occupa di studiare la distribuzione e la frequenza di malattie nella popolazione, quindi anche delle patologie correlate alla buona o cattiva alimentazione. Si avvale di due metodi di indagine: l’epidemiologia descrittiva si limita a osservare un fenomeno, mentre l’epidemiologia analitica mira a spiegare perché una data malattia si verifica. Il processo di dimostrazione avviene in due fasi: prima -attraverso studi osservazionali- si pongono in evidenza le correlazioni tra diverse variabili, poi -con studi sperimentali- si dimostra il rapporto causa-effetto.
Un esempio: l’epidemiologia descrittiva ci dirà che “in Italia si mangia tanta frutta e verdura; in Italia ci sono basse percentuali di cancro al colon”, mentre l’epidemiologia analitica si spigerà oltre dicendo che “in Italia ci sono basse percentuali di cancro al colon perché si mangia tanta frutta e verdura” (ovviamente dovranno essere chiarite le motivazioni biochimiche sulle quali si fonda l’assunto). L’epidemiologia descrittiva può associare variabili che non si influenzano assolutamente l’un l’altra: ad esempio può dire che in una data popolazione si hanno pochi eventi di infarto miocardico e che gli uomini siano calvi, ma non si sta assolutamente dicendo che essere calvi è un fattore protettivo per l’infarto al cuore!
Capite già da questa prima distinzione che un conto è rilevare dati di fatto che si presentano nello stesso momento (epidemiologia descrittiva), un altro è dimostrare un rapporto di causa-effetto tra essi (epidemiologia analitica, e più nello specifico studi sperimentali).

Gli studi scientifici sugli alimenti

Gli studi di cui si avvale l’epidemiologia descrittiva sono detti studi ecologici, e spesso sono alla base dei più approfonditi studi analitici: prima si constata che due variabili sono presenti contemporaneamente, e poi ci si interroga se siano legate da consequenzialità o meno.

Avete conoscete il paradosso francese? Si tratta dell’evidenza secondo la quale in Francia si consuma una quantità pro-capite di formaggi (ricchi di grassi e colesterolo) superiore rispetto al resto d’Europa, ma che l’incidenza di infarto ed eventi coronarici sia inferiore. In uno studio ecologico questo fatto era stato associato al largo consumo di vino rosso, ma non si dava nessuna dimostrazione scientifica che il vino protegga dall’infarto…

L’epidemiologia analitica si avvale degli studi di coorte e degli studi caso-controllo per indagare se una variabile sia effettivamente causa (o fattore protettivo) per una malattia. In questi studi si confronta un gruppo di persone esposto a un determinato (ipotetico) fattore di rischio con un altro gruppo di persone non esposto al rischio, e si monitora l’incidenza della malattia; sono studi molto dispendiosi e che necessitano un’accurata logistica: spesso durano per interi decenni, e arruolano centinaia -se non migliaia- di persone. Gli studi di coorte e caso-controllo sottolineano le correlazioni esistenti, ma non danno ancora certezza indubitabile.
Un esempio? Ipotizziamo che uno studio ecologico (descrittivo) evidenzi che in una data popolazione la prevalenza di diabete sia alta, e che nella stessa popolazione si faccia un uso smodato di bevande zuccherate. Con uno studio analitico e con adeguati calcoli statistici è possibile verificare se effettivamente le persone diabetiche di quella popolazione siano anche quelle che consumano più bevande zuccherate, o se invece queste bibite siano presenti in misura consistente tanto nella dieta dei malati che in quella dei non malati: solo se una variabile è presente esclusivamente in caso di malattia c’è la possibilità di rapporto di causa-effetto. Toccherà poi alla biochimica e agli esami di laboratorio spiegare in che modo la causa agisca come fattore di rischio.
Gli studi di coorte e gli studi caso-controllo sono osservazionali: i ricercatori non intervengono in alcun modo, limitandosi a registrare i dati così come essi si presentano e facendo gli opportuni calcoli per capire i rapporti di consequenzialità delle variabili.

Ben altra cosa sono gli studi sperimentali, nei quali il ricercatore interviene attivamente a modificare l’alimentazione di un gruppo di persone con l’intento di capire gli effetti di tale modifica; il gruppo in studio è confrontato con un gruppo detto di controllo che non riceve il trattamento. Il gruppo di controllo -ovviamente- deve avere caratteristiche il più possibile omogenee rispetto al gruppo in studio: i partecipanti devono avere stessa età media, stesso sesso, stesso peso medio, stessi valori medi di partenza dei marker in esame (colesterolo, trigliceridi, glicemia…), e via dicendo.
Un esempio: uno studio analitico ci dice se le persone che si ammalano meno di influenza durante l’inverno sono quelle che mangiano più frutta e verdura; uno studio sperimentale prova a dare a un gruppo di persone frutta e verdura tutti i giorni, e verificherà se al termine dell’inverno queste persone si sono ammalate meno rispetto al gruppo di controllo che non ha ricevuto gli ortaggi.
Esistono diversi livelli di studi sperimentali: oltre che essere fatti direttamente sull’uomo, possono essere condotti anche in vitro o su animali; in vitro significa che sono studi di laboratorio nei quali sono utilizzate cellule isolate che vengono a contatto con singole molecole dei nutrienti e non con l’alimento in sé. Negli studi sugli animali (in genere topi) vengono usati sia alimenti veri e propri che singole molecole immesse nella circolazione tramite iniezione.

Gli studi scientifici sugli alimenti

Fare studi sperimentali sull’uomo in campo nutrizionale è molto difficile perché spesso è poco etico: finché si tratta di indagare gli effetti positivi di un alimento i problemi sono circoscritti, ma non è possibile -ad esempio- sperimentare se la verdura inquinata da pesticidi possa contribuire a provocare il cancro al colon. Per questo motivo la Scienza della Nutrizione si basa perlopiù su studi osservazionali, e in misura minore su studi sperimentali.

Prima di fidarsi di uno studio scientifico bisogna fare attenzione a numerose cose; elenco alcuni dei punti più problematici da considerare:
- Tipo di studio, ossia se ecologico, osservazionale o sperimentale.
- Nel caso di studio clinico, di che genere si tratta? E’ stato condotto in laboratorio, su animali, o direttamente sull’uomo?
- Numerosità del campione: quante persone sono state coinvolte nello studio? Capirete che è cosa ben diversa arruolare 10, 1000 o 10000 persone, e che le conclusioni dello studio hanno un peso diverso a livello di popolazione.
- Caratteristiche del campione: sono stati arruolati solo maschi o solo donne? Qual è l’età media? Le persone avevano patologie in corso o prendevano farmaci? Facevano attività fisica? Avrebbe poco senso trarre linee guida applicabili a tutta la popolazione se uno studio è stato effettuato solo su ultrasessantenni ipertesi e fumatori.
- Durata dello studio: spesso le sperimentazioni cliniche sull’alimentazione sono protratte per circa 3 mesi a causa dei costi elevati; 12 settimane sono decisamente troppo poche, e non permettono di trarre conclusioni per il lungo termine.
- Tipo di alimento in esame: si sta analizzando l’alimento integro o parti isolate dell’alimento? In altre parole: si sta parlando della mela, del succo di mela, dello sciroppo di mela o delle pectine contenute nella mela? A seconda di quello che si prende in considerazione si può giungere a risultati diversi: verificare l’efficacia della mela per agevolare il transito intestinale non significa che gli integratori di pectine contenute nella mela abbiano lo stesso effetto…

Gli studi scientifici sugli alimenti

- Spingiamoci oltre: che dosi vengono prese in considerazione nello studio? Se si sta indagando l’efficacia degli antiossidanti dei mirtilli, di che quantità parliamo? Una vaschetta, un chilo o l’equivalente di antociani corrispondente a dieci chili di mirtilli? In altre parole: la dose presa in considerazione è ripetibile nell’ambito di una dieta quotidiana bilanciata?
- La rivista in cui lo studio è pubblicato per la prima volta: le riviste più prestigiose (come il Journal of Clinical Nutrition) accettano di pubblicare solo le ricerche più rigorose e inattaccabili, che devono rispondere a rigidi requisiti; molte altre riviste hanno standard protocollari meno elevati, e gli studi pubblicati sono di minor pregio.
- Il punto più dolente: chi finanzia lo studio? A volte controllando l’acknowledgement (ossia la Dichiarazione del conflitto di interesse, posta al termine dello studio) si scoprono cose interessanti; ad esempio che un brillante studio clinico che dimostra che il calcio aiuta a dimagrire è stato possibile grazie a borse di studio offerte da un’azienda farmaceutica di integratori alimentari. Non sempre il conflitto di interesse è palese: per citare uno scandalo che risale giusto all’anno scorso, si è scoperto che decine e decine di studi scientifici sul resveratrolo (principio attivo del vino rosso) erano state finanziate da vere e proprie lobby che commercializzavano integratori al resveratrolo, le cui vendite erano ovviamente aumentate grazie alla sempre più consistente credibilità scientifica.
 Diffidate quando vedete pubblicità di prodotti in cui si dichiara che “numerosi studi scientifici” dimostrano l’efficacia del prodotto stesso.
Importante: finanziare uno studio non significa falsarne i risultati, soprattutto se chi finanzia è una grossa multinazionale che potrebbe ricevere un feedback molto negativo qualora l’inganno fosse svelato. Se è difficile distorcere i risultati in sé e per sé, non è però così difficile allestire uno studio di modo che possa giungere alle esatte conclusioni che ci si aspetta: magari basta prendere un campione molto piccolo, non includere variabili che influenzerebbero il risultato o usare altri escamotage. Esempio: si vuole indagare se un integratore di antiossidanti aiuti ad avere più concentrazione mentale; anziché utilizzare e confrontare parametri clinici prima e dopo la sperimentazione (ad esempio un elettroencefalogramma, che dà dati oggettivi) i ricercatori possono sottoporre un questionario ai soggetti in esame chiedendo loro come si sentissero prima dell’integrazione e dopo di essa. I dati raccolti in questo caso sarebbero molto più arbitrari.

Da quanto ho scritto su quest’articolo sembrerebbe che gli studi scientifici non siano altro che un allestimento ben orchestrato per raggirare il consumatore facendo gli interessi delle aziende: purtroppo a volte è così, ma non bisogna fare di tutta l’erba un fascio.
Ad esempio, già controllando la numerosità del campione si possono avere rassicurazioni, ma ci si può spingere oltre. Esistono infatti le review e le meta-analisi, che permettono di avere risultati estremamente fini.
Una review è un articolo scientifico in cui uno o più esperti del settore si occupano di riassumere le conoscenze disponibili su un argomento: in altre parole consulano diversi studi già effettuati sull’argomento in esame, scelgono quelli più rilevanti e più rigorosi, e ne riassumono i risultati. A volte si hanno conclusioni omogenee, altre volte si evidenziano le divergenze. Il livello più alto per una review è la review sistemica, nella quale vengono citati tutti gli studi presenti in letteratura sull’argomento in esame (una review normale seleziona gli studi a discrezione di chi la conduce).
Esistono poi le meta-analisi, che sono review sistemiche ancora più significative: gli autori non si limitano a fare una ricerca bibliografica, ma ne traggono anche dati statistici: alle conclusioni degli studi sono applicate formule matematiche che permettono di avere dati oggettivi incontrovertibili. Una meta-analisi non ci dice solo che un alimento faccia bene o male, ma quanto sia benefico o nocivo; esempio: le bacche di goji contengono antiossidanti preziosi, ma mangiarle tutti i giorni fa veramente la differenza per la salute? La risposta credo sia scontata anche senza bisogno di una meta-analisi…

Mi rendo conto che questo articolo può aver interessato solo una minoranza dei miei lettori, ma visto che l’argomento “credibilità degli studi scientifici” spesso torna nelle mie conversazioni con amici, conoscenti e pazienti ho pensato che fare un po’ di chiarezza potesse essere utile a chi è a digiuno di Epidemiologia e Statistica. Prendendo conoscenza di tutte le variabili in gioco ci si può rendere conto di perché spesso le ricerche sembrano contraddirsi, e si può avere un po’ di spirito critico per valutare i messaggi salutistici associati a certi alimenti e prodotti industriali. Ad ogni modo le ricerche scientifiche servono ai professionisti per indirizzare il proprio lavoro e aggiornare le proprie conoscenze: sono uno strumento preziosissimo, ma come ogni strumento è importante saperlo utilizzare nel modo corretto.

Gli studi scientifici sugli alimenti

In quest’immagine potete vedere quanti siano gli alimenti (o, più frequentemente, molecole in essi contenute) che sono stati indagati da ricerche scientifiche. Quelli blu e verde-blu sono quelli il cui effetto è supportato da dati statistici forti, quelli verde scuro hanno un effetto poco consistente o da indagare maggiormente, tutti gli altri non hanno alcun effetto statisticamente significativo nella prevenzione di malattie.


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