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Io ho scoperto La Leggenda del Grande Inquisitore¹ attraverso l'analisi che ne fa René Girard nel suo Dostoevskij dal doppio all'unitಠ(1963).Devo confessarlo: se un residuo di cristianesimo resta in me lo devo in gran parte a questa lettura. Ovverosia: una volta lette queste pagine (di Dostoevskij e di Girard) io mi sento di dire, come dice Alëša al fratello: «Tutto ciò che tu dici non è una condanna, ma un elogio del Cristo».Certo, non sarà filologicamente corretto intendere Gesù così come appare in questa narrazione. Ma ingenuamente ho sempre pensato che, se avessi non so come, il potere di aggiungere al Nuovo Testamento un libro, beh, io non esiterei a inserirvi la Leggenda.
Ora, si dà il caso che sabato scorso, sulle pagine de Il Foglio, è stata riportata la tavola rotonda di presentazione di un libro che ha molto colpito il direttore e la redazione fogliante. “Un gran libro. Di sinistra”, è il titolo della lunga discussione sul pamphlet del professor Franco Cassano, L'umiltà del male, Laterza, Bari 2011 avuta con l'autore da parte di Giuliano Ferrara, Claudia Mancina, Lanfranco Pace. Tale libro è una riflessione politica che parte, appunto, da una lettura della Leggenda.Una lettura interessante, a tratti impegnativa – non quando parlavano Ferrara o Pace. Tuttavia sono rimasto deluso, non tanto perché non venga citato Girard, quanto perché nessuno dei presenti ha affrontato in modo limpido il tema decisivo della Leggenda, che è quello della libertà dell'uomo che emerge, con chiarità, nelle seguenti parole che il Grande Inquisitore rivolge al Cristo riapparso nella sua Siviglia del XV secolo:
«Hai voluto fondare il tuo regno su quella libertà che gli uomini odiano e fuggiranno sempre con una qualche idolatria, anche se la celebrano a parole. Bisognava rendere gli uomini meno liberi, e tu li hai resi più liberi, moltiplicando al tempo stesso gli idoli e i conflitti fra idoli; tu hai votato l'umanità alla violenza, alla miseria e al disordine».
Il Grande Inquisitore, scrive Girard, «non accusa il Cristo di avere sottovalutato la natura umana, ma di averla sopravvalutata, di non avere capito che l'impossibile morale della carità doveva inevitabilmente approdare all'universo del masochismo e dell'umiliazione»; egli «non cerca di farla finita con l'idolatria [ma] vuole guarire il male con il male; vuole fissare gli uomini a idoli immutabili e, in particolare, a una concezione idolatrica del Cristo».
Ma Gesù ci ha chiamato amici e non servi³.
Costringendo il discorso alla nostra contingenza, vorrei domandare a Ferrara: com'è possibile non riconoscersi servi nell'idolatria berlusconiana? La servitù non richiede responsabilità. E senza responsabilità non c'è vera libertà. Ma questo tema non è stato messo in luce dalla discussione fogliante.
L'ha spiegato, però, Luigi Castaldi con un post di altissimo profilo. Un post da meditare, un post che vale la pena di leggere e rileggere, farne sfondo di "scrivania". Un post che è da stamani quando l'ho letto che mi porto dentro e che non so come rendergli tributo. Un semplice grazie spero possa bastare.
¹Qui il testo completo ²Ed. It., SE, Milano 1987 (traduzione di Roberto Rossi).³Giovanni 15,12-17
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