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Global Business Bridges

Creato il 06 novembre 2012 da Istanbulavrupa

Global Business Bridges(appena pubblicato su Develop.med dell’Istituto Paralleli)

I negoziati tra Bruxelles e Ankara per l’ingresso della Turchia nell’Unione europea sono in una fase di preoccupante stallo: la posizione ostile di Sarkozy e della Merkel ha creato negli anni danni profondi. La presidenza di turno affidata nel secondo semestre del 2012 alla Repubblica di Cipro ha aggiunto tensioni e incomprensioni e l’ultimo rapporto della Commissione – di pochi giorni fa – pur se mette in evidenza numerosi e sostanziali progressi, esprime anche giudizi negativi e severi sulle necessarie riforme democratiche non ancora attuate. La via d’uscita e di rilancio individuata dall’Ue già lo scorso anno – per superare lo stallo e la reciproca frustrazione – è un pacchetto di iniziative, definito “agenda positiva”, che i commissari Štefan Füle (allargamento e vicinato) e Karel De Gucht (commercio) sono venuti a proporre direttamente a Istanbul nel mese di ottobre: miglioramento dei meccanismi di funzionamento dell’unione doganale, facilitazioni per i visti, cooperazione in materia di immigrazione e di lotta al terrorismo, dialogo rafforzato per la politica estera e dell’energia, rinnovato sostegno alle riforme politiche turche, più ampia partecipazione dei cittadini turchi ai programmi dell’Unione. Un pacchetto che è stato presentato – ripetutamente e con enfasi – come complementare e non alternativo al processo formale di adesione.

Unire le forze
In ogni caso, Bruxelles continua a investire massicciamente in Turchia. La delegazione ad Ankara è dotata di un team di 140 elementi, di 20 centri informativi e di fondi cospicui: 6,9 miliardi di euro nel periodo 2007-2013. La fine a dicembre del mandato dell’ambasciatore Marc Pierini – rappresentante per cinque anni dell’Ue – ha spinto a fare un bilancio: centinaia di progetti per rendere la Turchia più simile all’Europa, dalle riforme costituzionali ai servizi sociali, dai diritti delle donne ai corsi di etica pubblica per i politici, dal sostegno alle imprese allo sviluppo delle zone più svantaggiate del paese – e con un occhio di riguardo per le minoranze etniche e religiose. Nuovi fondi sono già stati stanziati per il periodo 2014-2020: come dire, il processo di avvicinamento non deve arrestarsi. E infatti, il 1° ottobre a Istanbul, il nuovo capo della delegazione Ue Jean-Maurice Ripert – francese come Pierini – ha presentato un nuovo e ambizioso progetto, coordinato insieme al ministero dell’Economia e dalla Tobb (l’Unione delle camere di commercio e delle borse merci): l’iniziativa “Global Business Bridges”, che ha lo scopo di creare partnership trilaterali tra imprenditori provenienti dai 27, imprenditori turchi e imprenditori degli stati mediterranei in via di sviluppo – in una prima fase: Egitto, Tunisia e Palestina, legati alla Turchia con accordi di libero scambio. Le parole d’ordine di Ripert: “unire le forze”, “win-win-win”, “promuovere lo sviluppo attingendo al potenziale esistente”, “iniettare dinamismo nel processo di adesione”; insomma, ponti in un duplice senso: dalla Turchia all’Europa, dalla Turchia e dall’Europa verso il Medio Oriente e l’Africa settentrionale.

“Le catene di valore aggiunto”
La conferenza di Istanbul è servita soprattutto per presentare a rappresentanti delle organizzazioni imprenditoriali, a funzionari ministeriali, a diplomatici, a rarissimi giornalisti la filosofia e la metodologia del progetto: a partire dallo studio realizzato – su commissione – dai centri di ricerca Tepav (turco) e IEMed (spagnolo) per individuare le aree in cui concentrare gli investimenti, attraverso più di 100 interviste con imprenditori egiziani, tunisini e palestinesi e una raccolta ampia di dati soprattutto microeconomici. Gli analisti responsabili del progetto sono stati estremamente chiari nell’esposizione della mattina, anche nei dettagli statistici più ostici, e l’idea di intervenire non in settori merceologici ristretti ma in quelle che sono state definite “catene di valore aggiunto”, individuando in aggiunta le complementarità tra le economie coinvolte. Per l’Egitto le catene sono acquacoltura, industria casearia, maglieria, centri commerciali, energia solare, turismo. Per la Tunisia: olive e olio d’oliva, turismo, abbigliamento. Per la Palestina: cibi e bevande, materiali da costruzione, tessili, tecnologie dell’informazione e della comunicazione.

Non è detto però che le scelte operate abbiano riscontro anche negli imprenditori europei e turchi chiamati a intervenire; e soprattutto, questa insistenza sul “trilateralismo”, su di una separazione tra imprenditori europei e turchi come se appartenessero a mondi diversi – quando invece esiste un’unione doganale dal 1996 – potrebbe creare qualche fastidio e imbarazzo.

Gli step del Programma
In concreto, il programma prevede il coinvolgimento di 250 imprenditori euro-turchi – chiamiamoli così – e di 150 imprenditori dei tre paesi pilota: gli euro-turchi formeranno le loro partnership già a febbraio ad Antalya, per poi incontrarsi in primavera in Tunisia ed Egitto con le controparti locali (per ovvie ragioni, gli egiziani accoglieranno anche i colleghi palestinesi). Una prima selezione avverrà sulla base delle indicazioni ricevute dalle organizzazioni imprenditoriali, dalle camere di commercio, dagli uffici commerciali delle ambasciate. Solo piccole e medie imprese, in grado di soddisfare criteri piuttosto esigenti che riguardano la volontà di internazionalizzarsi, il potenziale di crescita, la capacità operative. Imprese in rampa di lancio, insomma. Si attendono soprattutto manifestazioni d’interesse per l’Egitto; molto più spazio – così hanno spiegato a Paralleli i funzionari europei – ci sarà per la Tunisia e per la Palestina. Se i primi risultati saranno positivi, si passerà a fine 2013 ad altri tre stati.

I panel del pomeriggio, in cui sono stati discussi i tre casi da sperimentare da parte di diplomatici e imprenditori, hanno ulteriormente messo in luce due aree critiche: la mancanza allo stato attuale di linee di finanziamento concrete per i progetti, che verranno rese eventualmente disponibili solo in una fase successiva (sono stati menzionati ad esempio possibili fondi dell’Unione per il Mediterraneo, della European Investment Bank, della European Bank for Reconstruction and Development); il cronico deficit di comunicazione da parte delle istituzioni europee, col risultato che sono sempre i meglio introdotti a partecipare. Vale forse la pena di farsi avanti da parte degli imprenditori italiani, magari contattando direttamente la delegazione dell’Ue ad Ankara – o la nostra rappresentanza diplomatica – per ricevere istruzioni.

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