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Gnanca na busìa – le vite d’Italia archiviate a Pieve Santo Stefano

Creato il 23 settembre 2014 da Diletti Riletti @DilettieRiletti

Borgo Flora 5 novembre 1981 (Presentazione)

Caro quaderno,
ti accorgerai subito che sono un pò tocca, già solo per il fatto che alla mia età con un marito e 2 figli da badare, una grande casa a due piani da pulire, galline, conigli e maiale quando manca mio marito e mio figlio, devo badare, orto e campagna con mio marito devo fare spesso tante cose (quindi pensa tu se vado a mettermi a perdere tempo con te che non serve proprio a niente e per giunta con la poca scuola che hò, ti puoi immagginare che pasticcio sarà) Però devi sapere che ho troppa voglia di parlare con qualcuno delle mie idee dei miei pensieri ecc. … Sò che se tu potessi parlare mi diresti (quardati intorno e c’è tanta gente, trà la quale potresti trovare la persona giusta per stringere amicizia con la, a maiuscola e poi tuo dovere sarebbe di trovare la maniera di costruirla con tuo marito.) Io ti rispondo che ci ho provato e come, ma purtroppo in questo ho fallito da sempre e chissà il perché? Forse lungo tutte queste pagine potrai capire qualcosa di me speriamo.

C’era una volta un uomo che amava leggere le lettere altrui. No, non vi sto parlando del postino di Breve trattato sulle coincidenze: quest’uomo è esistito davvero. E tanto amava leggere lettere e diari altrui da voler creare un luogo dove raccogliere queste testimonianze scritte, questi racconti che gli italiani hanno fatto di se stessi. Non basta: quest’uomo, questo scrittore, questo amante della scrittura e delle storie non solo sue, pensò di riempire questo spazio di racconti in prima persona mettendo un annuncio sul giornale. Avete un diario? Portatelo presso la Banca dei Diari in Toscana. Insomma, un’idea quanto meno balzana, chi avrebbe mai risposto?

Eppure Saverio Tutino, scrittore e giornalista, da quel bizzarro annuncio pubblicato su Repubblica il 22 novembre 1984 ha fatto nascere l’Archivio Diaristico Nazionale presso la Biblioteca comunale di Pieve Santo Stefano, borgo aretino di circa tremila abitanti. Qui si raccolgono da allora le voci autobiografiche, intime e dirette degli italiani: scambi di lettere, diari personali, memorie. Tutti assolutamente autentici, non rielaborati né corretti da altri. E attraverso la creazione del Premio Pieve, ha portato in quel suo piccolo borgo circa seimilacinquecento documenti a disposizione non solo degli studiosi di ogni disciplina, ma anche di registi e attori, scrittori, fotografi, musicisti che si ispirano ad un passato più o meno lontano per narrare con veridicità dell’Italia che è stata, e dei suoi cittadini.

Quest’anno il premio -alla sua trentesima edizione- è andato a Gaddo Flego, partito nel 1994 con Medici senza frontiere in Rwanda, che ha scritto una memoria della sua esperienza come medico durante l’atroce conflitto civile che ha portato allo sterminio della popolazione dei Tutsi.

Ma uno dei documenti più toccanti e strani conservati nell’Archivio, di cui è diventato il simbolo, è senza dubbio il Lenzuolo di Clelia Marchi, diario scritto da una donna rimasta vedova del suo amato Anteo su un lenzuolo del corredo. La scelta del supporto su cui scrivere, che a noi pare assurda, si scopre invece delicatissima a leggerne la ragione:

Le lenzuola non le posso più consumare col marito e allora ho pensato di adoperarle per scrivere


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