Il dramma dell’handicap nell’interpretazione di Elvira Gerardi
“Handicap” è un concetto spiacevolmente generico, che raggruppa fattispecie profondamente diverse tra loro: menomazioni/amputazioni, disabilità fisiche, disabilità psichiche, cazzo piccolo.
Di conseguenza assai diverse devono essere le strategie di approccio alla disabilità: per gli amputati è sufficiente un medio senso dell’umorismo, per i disabili fisici è utile un muletto o transpallet, per gli psichici è bene avvicinarsi con circospezione, senza guardarli negli occhi e lasciandoli liberi di annusarvi la mano. Fate attenzione a tenervi spalle al muro perché i mongoloidi pensano solo a scopare, a meno che non siano imbottiti di piscofarmaci, circostanza che li rende ancor più pericolosi perché potrebbero vomitarvi addosso, o cagarsi sotto, rotolarsi nella loro merda e poi corrervi incontro festanti.
Ma quali trattamenti possono migliorare la vita di un disabile e della sua famiglia? Al primo posto c’è naturalmente l’eliminazione del soggetto, che non tutti si sentono di praticare vuoi per timore delle conseguenze legali vuoi per un malsano attaccamento che con il tempo si sviluppa anche verso le più immonde fra le creature: per questa ragione sarebbe assolutamente opportuna l’uccisione in culla, magari con l’aiuto di personale sanitario prezzolato che aiuterà a simulare un incidente.
Per le mezzeseghe che non hanno sufficiente nerbo per eliminare il problema alla radice, un’ottima soluzione è la costrizione fisica all’interno di spazi angusti ermeticamente separati dal resto dell’abitazione, in modo che nessuno sappia che avete in casa un handicappato, o comunque che non lo possano vedere e schernirvi con gli amici comuni. I disabili fisici spesso sbavano, emettono suoni e rumori sgradevoli e non sono in grado di provvedere neppure alle necessità basilari: mangiare, bere, pulirsi. Ciò comporta l’ulteriore sgradevole conseguenza di doversi prendere in casa un negro o uno slavo per raccogliere la loro merda: motivo in più per farli fuori alla prima occasione, a meno che la badante non sia una ventenne moldava sieronegativa.
I disabili psichici sono generalmente più autonomi ma insopportabilmente curiosi, logorroici e stupidi: la soluzione migliore è di imbottirli di piscofarmaci in modo da trasformarli in vegetali inutili, fino a un sovradosaggio letale.
Gli amputati, beh, quando hanno almeno una mano sana per scrollarsi l’uccello e nettarsi il culo il più è fatto: incassate la loro pensione d’invalidità e teneteli in uno stato di perenne soggezione e apatia (“Uscire? E farti vedere da tutti come sei conciato?”).
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- All’inizio pensavo che mio figlio fosse un tipo positivo, uno che affronta le cose della vita con il sorriso stampato sulle labbra
- E invece?
- E invece è down
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Sapete, ho lavorato per un anno in una struttura per il sostegno dei portatori di handicap fisici e mentali: questo il mio servizio civile, e sono felice di aver fatto tale scelta. Invece di perdere un anno in una triste caserma, buttato là senza alcuna utilità reale, mi sono messo al servizio di chi davvero aveva bisogno. Ho conosciuto gente splendida e l’arricchimento umano che ne ho tratto è stato incredibile. Sara, per esempio, una sfortunatissima ragazza del tutto incapace di intendere e di volere. Aveva sedici anni, all’epoca. Provvedevo alle sue cure, la imboccavo a pranzo e cena, facendo attenzione a che non soffocasse (era così delicata). È stato insieme uno strazio ma anche un’esperienza meravigliosa. Quando le toglievo le scarpe, per i suoi esercizi, mi soffermavo un po’ su quella creazione capricciosa di Dio. In particolare sul suo piede: perfetto. Sembrava un calco di una statua. Prima che entrassero altri non potevo non annusarlo – so che capirete – e passare la lingua tra quelle dita vergini. Spesso capitava di restare solo con lei per ore intere: questo quando me la affidavano il sabato. Lei restava là, immobile, sguardo fisso nel vuoto. Aveva una pelle rosea che emanava luce propria. Mi accostavo a lei, dolcemente, e le sussurravo qualcosa – ora non ricordo di preciso – circa il mio grosso pene. Lei ovviamente non rispondeva. Restava là, così come la mettevo. Allora la spogliavo completamente e le pisciavo sulla faccia. Era così indifesa, con quella pioggia dorata che le scendeva sul seno florido. Poi la giravo e la penetravo analmente, aiutandomi con un frustino lasciato là da qualche educatore precedente. Era in quei momenti che notavo qualche timida reazione… Troppo poco per farmi davvero pensare di averle ridato una scintilla di vita. Le venni dentro decine e decine di volte, sicuro che quel corpo tanto perfetto quanto simbolico della fallibilità di Dio non potesse mai dare alla luce altra vita. Non mi sbagliavo, con lei.
Con Renata sì, con Renata sì…
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- Papà, è vero che io sono un bambino speciale?
- No, sei handicappato.…
L’handicap è una malattia che può essere facilmente evitata seguendo normali regole di prevenzione. Anzitutto è bene non accompagnarsi a persone disabili per evitare il rischio di contagio. L’handicap si può infatti trasmettere anche per via aerea o con la posta ordinaria. Occhio sempre ai francobolli mongoli, particolarmente insidiosi.
Poi c’è da distinguere tra i vari portatori di handicap. Come per altri disturbi del sangue ci sono portatori sani e malati. Fate sempre degli esami del sangue prima di decidere di procreare. Infatti due portatori sani di cecità hanno grosse probabilità di avere figli ciechi.
Le precauzioni per non diventare handicappati sono quelle di buon senso: lavarsi sempre i denti dopo mangiato, le mani prima di mangiare e le zone genitali durante i pasti. E poi pregate, pregate tanto. Se essere handicappati fosse normale Gesù non avrebbe curato gli storpi.
Altra cosa utile è sostituire spesso i reni e ogni quarantamila chilometri revisionare il fegato. Per riconoscere i sintomi di handicap guardate il vostro router: i led wireless sono accesi o lampeggianti? Nel secondo caso, a meno che non stiate battendo gli occhi velocemente, potreste avere l’ADSL che non funziona. A quel punto chiamare l’assistenza tecnica servirebbe a poco, come sapete dalle precedenti venti chiamate. Conviene armarsi di mazza e recarsi al call center più vicino. Chiedete di parlare con Andrea e appena arriverà riempitelo di mazzate. Mirate alla colonna vertebrale e lasciatelo agonizzante e paralizzato sul pavimento. Ecco che guardando un semplice led è possibile sapere in anticipo se c’è la possibilità che qualcuno contragga un handicap.
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Avrei voluto scrivere un pezzo su mio fratello, lo confesso.
Già, mio fratello; come sapete è autistico, e avrei voluto davvero scrivere un pezzo su di lui, anche se poi, a dirla tutta, non è che offra tutto ‘sto materiale. Tanto per cominciare non è un genio e per quanto mi sforzi di ricordare non ha mai applicato l’equazione di Eulero-Lagrange alle scrollate del suo pisello; anzi, una volta gli ho chiesto un mandarino e mi ha portato un calzante. Non è nemmeno simpaticissimo: nottetempo era solito svegliarmi per sapere se stessi dormendo. “Sì, Enzo: dormivo e ora sono desto”. Lui taceva, tranquillizzato del fatto che non sofrissi d’insonnia ma sinceramente mortificato per avermi svegliato e così, dopo una decina di minuti, mi chiedeva scusa, svegliandomi di nuovo.
Però, anche scarseggiando del materiale, avrei tanto voluto scrivere un pezzo su di lui.
Non posso negare che ridicolizzarlo avrebbe forse appagato la mia fraterna frustrazione per tutte le volte che ho dovuto accompagnarlo al cesso, fargli il bidè, allacciargli le scarpe, assecondarlo in caso di pubbliche escandescenze, ricevere calci, ascoltare i Pooh.
E’ per questo, in fondo, che avrei voluto scrivere qualcosa su di lui, anche solo due righe.
Mio fratello, ora che ci penso, una particolarità ce l’ha. Conosce a memoria i santi del calendario; tu gli dici una data e lui “zac”, ti nomina il santo; o viceversa. La cosa è stata divertente all’inizio, poi chiunque gli chiedeva ‘sta cosa. “Enzo, che santo il 4 aprile?”. “Sant’Isidoro”. “E il 4 luglio?”. “Santa Elisabetta di Portogallo”. “E il 25 dicembre?” “Niente, niente, è Natale porcodio, è Natale”.
Avrei tanto voluto scrivere un pezzo su mio fratello, davvero: ma nessuno me lo teneva fermo mentre puntavo la penna su quella schiena.
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Un giorno stavo su una panchina e mi si è seduto accanto un vecchio del paese, rimasto cieco durante la guerra. Raccontava dei bei tempi andati, di quelli brutti, e ad un tratto mi ha indicato un punto davanti a noi e ha detto: “Vedi qui? Qui una volta era tutta campagna”. Stava indicando il mare.
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Gli handicappati si possono dividere in due categorie, quelli che hanno deficienze fisiche e quelli che lo sono.
I primi sono facilmente riconoscibili perché, per compensare il proprio difetto, hanno sempre qualche gadget tecnologico, sia esso un apparecchio acustico, un bastone, una sedia a rotelle o una velina.
I secondi, invece, a dispetto dei problemi mentali, sono astuti e tendono a confondersi con la popolazione. Un po’ come fai tu, lettore.
In ogni caso c’è un metodo molto semplice per stanarli, basta indire un concorso pubblico per entrare in polizia.
Non è un metodo sicuro al cento per cento solo perché bisogna tener conto anche dei raccomandati. Tuttavia, questi possono essere stanati successivamente: basta controllare quelli che non lavorano e se ne stanno tutto il giorno davanti alla TV mentre i loro colleghi sono per strada. I raccomandati sono i primi.
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A volte mi toccavano servizi ai quali avrei volentieri rinunciato, come accompagnare i disabili, quelli più autonomi, in giro per la città per “un’integrazione col mondo reale che sicuramente farà loro bene”. Questo secondo don Bruno, il direttore dell’istituto. La verità era che alcuni di loro rappresentavano un reale problema di “ordine pubblico”. E non mi riferisco a Davide, che grazie alla totale assenza dell’incisivo destro, riusciva a ricreare fantasiose traiettorie tramite i suoi sputi alla gente che incrociava, né a Roberto, l’unico bambino dotato di testicoli più grandi della sua idrocefalia, che mostrava nei momenti, nei luoghi e alle persone più svariate. Parlo di Ettore:violento, autolesionista, con disturbi cognitivi, del linguaggio e dell’umore, psicotutto, al quale fu una sola volta concesso di entrare in un pubblico esercizio e chiedere il costo di un qualcosa.
- Oh! I’ vogl sape’ quanta costa que’.
- Cosa vuoi fare?
- Quanta costa!
- Cristo… Ettore, se entriamo a chiedere però non fare casini!
- Ah? Mannaggia la Madonna… QUANTA COSTA!
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Purtroppo in quei casi non c’era scelta: occorreva accontentarlo.
Entrai nel negozio – abbigliamento – e avvertii il commesso gay di quanto stava per accadere. Lui si mostrò subito molto disponibile e acconsentì.
- Ettore, entriamo, ma non fare cazzate.
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- UOO!
- Ehm, buongiorno! Dica pure.
- Ah?
- Ehm, dicevo, vuole chiedere qualcosa?
- MMMM… Eeee… QUANTA COSTA!
- Cosa signore? Questi jeans?
- EEEEH NO! STU CAZZ!
- [Ettore! Cosa ti avevo detto?]
- MA CUSSU’ MI STA A ROMPE LU CAZZ!
- [Ettore, chiedi quel che devi e andiamo]
- Tu, QUANTA COSTA!
- Signore, questi jeans… settantamila lire. (Siamo nel 1993 lo rammento per capire anche i prezzi)
- AH! UH! NGUL’A’MMAMMETA! FROCIO! CA TU SI’ FROCIO!
E giù mazzate.
Io, ovviamente, non lo fermai subito: frocio era frocio.
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Mia moglie assiste costantemente un disabile. E il fidanzamento non è durato neanche tanto.
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- Allora, com’è?
- Un’altra tragedia. Un dolore immenso.
- Dai, non prenderla così: dicono che con il giusto sostegno possano condurre una vita normalissima.
- Fai in fretta a parlare, tu: non è mica capitato a te, i tuoi sono tutti normali. Non so se riuscirò a sopportare una cosa del genere. Tre volte, capisci?
- Senti, è successo anche a mio cugino: all’inizio era come te, ma poi ha accettato e adesso è addirittura contento. Sai quante volte gli ho sentito dire “è stata una benedizione, è una cosa che auguro a tutti”? Non lo sai finché non ci hai a che fare, ma ti giuro che sono persone meravigliose.
- E anche se fosse, non saranno mai indipendenti: non riusciranno a pensare con la loro testa, non potranno guidare, non saranno in grado di imparare nessun lavoro e, quando io non ci sarò più, dovranno trovare qualcuno che se ne prenda cura.
- Puoi sempre riprovarci. Come si dice “il quarto viene da sé”. Così almeno avranno un fratello.
- Ancora? E se poi dovesse venire fuori uguale? No, non posso rischiare.
- Ma no, stai tranquillo che col prossimo andrà tutto bene, quante volte vuoi che possa capitare? Dai, ci scommetto: il prossimo sarà finalmente un maschio.…
Ho un amico completamente paralizzato. Braccia, gambe, tutto quanto, riesce solo a muovere un po’ le sopracciglia. Ecco, non è che sia proprio mio amico, come cazzo fai ad essere amico di uno così, non puoi neanche usarlo come copertura con la tua ragazza.
- Come, dove sono stato? Tutta la sera con Gigi, lo sai. Gigi, diglielo anche tu.
– …
No, non si può. Impossibile essere amici di uno così.
Però puoi usarlo per conoscere le ragazze.
Al parco, si avvicina una bionda.
- Che teeeneeeeeroooooo! Come si chiama?
– Gigi.
– Cucciolosissimo, cos’ha?
– Tetraplegia spastica distonica.
– Io avevo un distrofico, poi mi è scappato, una volta che siamo stati in montagna.
– Oh, mi spiace. Una volta è quasi successo anche a me, con uno splendido esemplare di autistico. Ci provava sempre, alla fine abbiamo dovuto castrarlo.
La bionda sorride.
- Con lui non ce n’è bisogno.
– Eh, no.
Sorrido anch’io.
- Scopiamo?
Gigi mi torna utile anche in posta, o in banca. In qualsiasi posto dove ci sia da fare coda, insomma. Tutti sono sempre molto gentili e ci fanno sempre passare davanti, pur di non avercelo sotto gli occhi.
Con Gigi faccio un casino di cose, tipo che lo prendo e lo sistemo in qualche posizione, poi lo sposto di qualche centimetro. Ultimamente abbiamo la fissa dei cortometraggi in stop motion.
…
“Prima di tutto vennero a prendere gli handicappati,
e fui contento, perché era un termine offensivo.
Poi vennero a prendere i portatori di handicap,
e stetti zitto, perché era una parola meno crudele.
Poi vennero a prendere i diversamente abili,
e fui sollevato, perché tutti lo siamo.
Poi vennero a prendere i disabili,
ed io non dissi niente, perchè lo trovavo giusto.
Oh, però ancora non mi spiego perchè in giro ci sono così tanti mongoloidi.”…