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Gobekli Tepe: il santuario degli esseri senza volto

Creato il 20 aprile 2013 da Straker
Gobekli Tepe: il santuario degli esseri senza voltoLa città-tempio di Gobekli Tepe è ubicata ad otto miglia a nord est di Sanliurfa, in Turchia. Gobekli Tepe risale a circa a 12.000 anni addietro, ma certe sue opere suggeriscono addentellati con culture posteriori. Ad esempio, vi si può ammirare un pilastro lapideo su cui è scolpito un volatile con le ali spiegate, insieme con un oggetto circolare. Tale raffigurazione evoca il simbolo egizio “shen “, risalente grosso modo a 7000 anni più tardi.
L’effigie con il disco potrebbe essere associata a Nekhbet, dea dalle sembianze di avvoltoio bianco, che di solito era riprodotto con le ali spiegate, nell’atto di stringere un geroglifico “shen” fra gli artigli. “Shen” deriva dall’antica parola egizia “shenu”, ossia “circondare."[1]
Lo “shen” è simbolo di eternità, d'infinito e di protezione: è per questo che diventò un cartiglio contenente un nome. Nell'antico Egitto, si riteneva che senza un nome, una persona fosse incompleta ed una persona incompleta non poteva inoltrarsi nell'oltretomba con successo. I nomi reali dovevano essere protetti per tutta l'eternità, dunque lo shen salvaguardava il faraone nel suo transito verso il duat. Gli antichi Egizi possedevano due nomi, uno essoterico, noto a tutti, ed uno esoterico, conosciuto da pochi. Il nome segreto proteggeva l’identità, l’essenza di chi lo portava.
In un’antica città della Turchia, Catal Huyuk, si può ammirare un affresco che mostra avvoltoi appollaiati sulla cima di alte torri di legno il cui fastigio è delimitato da cornici. In una torre, due avvoltoi sono tratteggiati con le ali piegate su una testa umana.
Un certo numero di specialisti ipotizza che gli avvoltoi siano all’origine di una lunga tradizione rintracciabile ancora oggi fra i Parsi (Zoroastriani), seguaci della religione fondata dal profeta persiano Zarathustra. I Parsi, presenti in India ed Iran, compiono il rituale funerario della scarnificazione. La scarnificazione consiste nell’abbandonare il corpo del defunto sulla sommità di una torre circolare in pietra chiamata “dakhma”, attendendo che gli avvoltoi si nutrano della carne. In questo modo la terra non è contaminata dalla salma. Gli edifici di Catal Huyuk probabilmente sono una versione precedente delle dakhma, note come “Torri del silenzio”.
Andrew Collins ritiene che l’avvoltoio sia un animale psicopompo, ossia atto a condurre l’anima nell’aldilà. Non solo, lo studioso, autore del saggio “Il mistero del Cigno”, reputa che altri pennuti, ossia la cicogna ed il cigno, trasferiscano l’anima disincarnata in un altro soma, lungo l’itinerario della metempsicosi.
In varie parti d'Europa e dell’Asia è la cicogna a portare i neonati. Il Cigno è anche una magnifica costellazione: agli astri che la formano sono allineati alcuni siti archeologici. Al Cigno si collega pure presumibilmente la visione di Costantino.
In alcune rappresentazioni del Neolitico gli avvoltoi hanno degli ovali sulla schiena: all’interno degli ovali sono delineati feti o infanti che rappresentano, secondo Collins, gli spiriti destinati ad essere ricondotti sulla Terra. Collins pensa che l’avvoltoio sia un simbolo fondamentale. Tale emblema riecheggiò attraverso i millenni fino a quando fu adottato dagli antichi Egizi.
In altri contesti culturali, l'avvoltoio è un emblema di guerre e battaglie. Tra i Sumeri e gli Amorrei (volgarmente noti come Babilonesi) era l’animale che portava via l’anima dei combattenti morti sul campo.
La giornalista investigativa Linda Moulton Howe, analizzando i singolari manufatti di Gobekli Tepe, comparati con altre testimonianze iconografiche, soprattutto dei Nativi americani, si spinge a congetturare che essi alludano alla procreazione di uomini per opera di esseri allotri. Ella esamina, tra le altre, una sorprendente opera custodita nel museo di Urfa (Turchia): è una sorta di totem alto otto piedi con una testa non umana e priva di volto. Ai lati sono scalpellati dei serpenti: questa inquietante creatura sembra essere descritta mentre è in procinto di dare alla luce un bambino umano. Viene in mente il celebre passo biblico del Genesi, dove sono menzionati “i figli degli dei”…
Non si comprende per quale motivo questa ed altre figure antropomorfe siano scolpite senza viso. Inintelligibili risultano anche molti glifi sbalzati sui caratteristici pilastri a T di Gobekli Tepe. Le opere litiche hanno alcunché di ieratico, ma soprattutto di sinistro, come se il sacro fosse velato da un’ombra sacrilega.
La Moulton Howe azzarda la seguente supposizione: i vari monumenti megalitici (menhir, dolmen, cromlech) sarebbero le vestigia di un’intelligenza non terrestre che interagisce in modo occulto con l’umanità da tempo immemorabile. Forse Gobekli Tepe era un luogo cosmopolita dove gli anziani, gli sciamani, i guerrieri di culture diverse si incontrarono per far scoccare la scintilla della civiltà. Forse la misteriosa città-santuario fu edificata da un popolo proveniente dalla costellazione del Cigno.
Gobekli Tepe è un luogo di morte, ma pure di rinascita. Il suo simbolismo sembra riflettere questa duplicità. Era ed è – suggeriscono alcuni - anche un portale cosmico, uno stargate. E’ un posto in cui la linea dello spazio-tempo si spezza e dove si può essere proiettati verso le stelle.
[1] Nekhbet era raffigurata ovunque il faraone fosse presente: nella tomba reale e nei templi. La sua immagine ornava anche i pettorali ed i gioielli del re. Ella, insieme con la dea Uto, nutriva il sovrano alla nascita e lo proteggeva per tutta la vita. Con la democratizzazione del culto, la divinità divenne nutrice di ogni defunto che rinasceva a nuova vita.
Fonti:
Grande enciclopedia illustrata dell’antico Egitto, a cura di E. Bresciani, Novara, 200. s.v. Nekhbet
L. Moulton Howe, Gobekli Tepe: was it a soul recycling machine?, 2012

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Gobekli Tepe: il santuario degli esseri senza volto

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