Gli Dèi esistono. Camminano in mezzo a noi, vivono dentro e fuori la realtà di tutti i giorni, hanno macchine, uffici, soldi… Ma non tutti. Alcuni stanno morendo, travolti dalla perdita di tutti i loro seguaci; altri combattono una lotta spietata per tenersi il proprio posto nel mondo, usando tutti i loro poteri per conquistarsi l’agiatezza e agire in incognito. Ma un giorno uno di loro si ritrova coinvolto in una sfida grottesca: un ragazzo, giovane e apparentemente potentissimo, è sulle sue tracce, e non si fermerà finché non sarà riuscito ad annientarlo. Chi è questo giovane? Liàthan, antichissimo dio celta dalla morale ambigua e dalle ambizioni limitate non prende sul serio la minaccia. Ma dovrà ricredersi ben presto, quando Edwin – questo è il nome del ragazzo – mostrerà di essere un nemico estremamente pericoloso, in cerca di una vendetta i cui motivi Liàthan ignora del tutto. Un anno esatto durerà la sfida, e se al termine Liàthan non sarà riuscito a fermare il suo avversario morirà, inesorabilmente e senza che niente possa impedirlo.
Un romanzo epico, pieno di colpi di scena e di personaggi memorabili a metà tra le atmosfere cupe e sognanti di American Gods e quelle crude e drammatiche di Hunger Games… ma con molto umorismo in più.
(Dal sito dell’editore)
Recensione
“La vendetta è il nettare degli Dei”. Così recita il sottotitolo di questa ultima fatica di Luca Tarenzi, che è un buon indizio sul suo interno. I protagonisti divinità e il fulcro della storia è la vendetta, caratteristica quasi irrinunciabile per un dio. È principalmente dalla tradizione che Tarenzi pesca, rinfrescando e attualizzando il mito. Io, lo confesso, non sono mai stato un estimatore del genere “urban fantasy”, un po’ per pregiudizio e un po’ per alcuni inciampi incontrati nel mio percorso di lettore. Devo però ammettere che questo libro è riuscito a convincermi fin da subito anche per il modo in cui sono stati bilanciati i due aspetti, il fantastico e il mondo contemporaneo.L’aspetto urbano, innanzitutto. Sebbene il termine “urban” non definisca necessariamente l’ambientazione cittadina, è chiaro che si riferisce a un’epoca, quella attuale, che ha una connotazione diversa dal fantasy classico. Le vie di Milano, Amsterdam e Londra, dove il romanzo è ambientato, sono una discontinuità netta con il fantasy classico, di ambientazione antica o medievale. La principale differenza rispetto ad altre opere del (sotto)genere è che queste città non sono né inventate né, almeno nel mio caso, lontane dalla mia esperienza. Là dove avrei difficoltà a immaginare le metropoli d’oltreoceano, se non grazie al filtro della cinematografia, Tarenzi propone una storia che si dipana in luoghi che conosco e ho visitato, conferendo a essa una solidità maggiore e, proprio per questo motivo, esaltando l’aspetto fantastico.
La mitologia di questo romanzo e negli altri (a eccezione di “Il sentiero di legno e sangue”) è ricreata sulle basi di tradizioni differenti, da quella cristiana a quella celtica, a quella greca e romana. Per ammissione dell’autore, durante una presentazione, non è stato ancora affrontato il problema del rapporto di coesistenza fra gli angeli e le divinità “pagane”, ma fortunatamente questo contrasto, più ideologico che pratico, non giunge mai a frizione e il gran calderone di mitologie e leggente risulta ben amalgamato e senza grumi. Intendiamoci: Godbreaker è davvero un calderone, pieno di idee dal primo capitolo all’epilogo. Gestire così tanti elementi in una narrazione organica e priva di intoppi è senza dubbio un merito dell’autore.
L’altra dimensione che conferisce realismo alla storia è quella temporale. Trattandosi di divinità immortali, alcuni personaggi hanno attraversato molte epoche storiche, comprese quelle più recenti quali il periodo fascista e l’occupazione nazista del nord Italia. Non solo un’antichità mitica, quindi, ma anche la storia recente. I personaggi, per quanto sopra le righe rispetto al quotidiano, sono integrati nel corso della nostra storia. L’integrazione non è pergetta – alcune divinità sembrano poco interessate alla modernità, forse non comprendendola, e si ritirano nelle loro corti al riparo da sguardi indiscreti – mentre altre hanno imparato a vivere nell’era digitale e del consumismo. Liàthan, uno dei protagonisti, non si scandalizza quando viene giudicato un supereroe, piuttosto che un dio. Oppure quando Edwin, la sua nemesi, e un compagno si trovano di fronte le due porte del sogno: una di corno, per i sogni veri, e una d’avorio, per i sogni falsi. Il compagno collega subito le due porte all’Eneide di Virgilio, mentre il più giovane Edwin pensa piuttosto a Sandman, la serie a fumetti di Neil Gaiman pubblicata negli anni ’90!
I protagonisti sono tre. Ai due citati si aggiunge Molly, l’unica che non ha un grammo di divinità nel sangue, eppure colei che sola sembra riuscire a capire cosa realmente è in gioco e che proverà a produrre una sintesi in un contesto dominato dai divini capricci dei due contendenti. Liàthan, che dopo quattromila anni di battaglie si è adagiato su uno stile di vita dedicato al divertiento e all’eccesso, è troppo impegnato a cercare di porre termine alla minaccia. Edwin, d’altra parte, è pronto a tutto per portare a compimento il disegno di vendetta a cui ha lavorato per decenni. A colorire la scena concorrono molti altri personaggi, a cominciare dai sodali di Liàthan, Naire e Shiagal, e da Nas, l’uomo in verde. Ma questo romanzo è davvero pieno di incontri, anche se alcuni sono appena accennati. Quelli più riusciti sono le Tre e, naturalmente, il Drago. Menzione d’onore anche per la Caccia Selvaggia, che me la trovo un po’ ovunque e non è certo facile riproporla in una veste innovativa. L’espediente impiegato, in questo come in altri casi, è attualizzare un mito che incarna il timore ancestrale dell’uomo verso la natura. I cavalieri, abbandonate le cavalcature, salgono in moto (nere) e irrompono nelle vie cittadine come se si fossero aggiornati al nuovo ambiente abitato dall’uomo e alle sue nuove paure.
Godbreaker è un romanzo ben strutturato. Chiarisce subito i presupposti e li mantiene fino alla fine, con momenti di forte itensità drammatica e alcuni sconvolgimenti. Grazie a una qualche magia, Tarenzi riesce a non sacrificare la complessità dell’intreccio alla fluidità e al ritmo della narrazione. È un libro squisitamente autoconclusivo e ultimamente lo sto consigliando a tutti coloro che si dichiarano delusi dalla longeva schiera degli imitatori di Tolkien. Godbreaker può essere un buon punto di partenza per esplorare la varietà che il fantastico ha da offrire, appena fuori dall’alveo di elfi, maghi e società pseudomedievali.
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