Goffman: l'interazione focalizzata

Da Bruno Corino @CorinoBruno


Ad usare l'espressione “interazione focalizzata” è stato il sociologo americano Erving Goffman, per il quale essa ha luogo nel momento in cui un individuo presta direttamente attenzione a ciò che gli altri dicono o fanno, e quindi si riferisce a quelle situazioni sociali in cui gli attori sociali non solo mostrano reciproca consapevolezza dell’altrui presenza, ma interagiscono tra loro. Tutti gli altri tipi di incontro in cui le persone non vengono né coinvolte né impegnate direttamente sono classificati da Goffman come “interazioni non focalizzate”.
La differenza tra i due tipi di interazione (focalizzata e non focalizzata) si basa sul semplice criterio (peraltro difficile da definire) del “prestare attenzione”, mentre, l’altro criterio, quello della reciproca consapevolezza dell’altrui presenza, essendo presente in entrambi i tipi di interazione, non può essere usato come criterio differenziale. Stando così le cose, il criterio (il limite) che differenzia un tipo di interazione dall’altra è piuttosto generico.
Se per differenziare un’interazione focalizzata da un’altra non focalizzata assumiamo come criterio “il prestare attenzione”, vedremo come tale criterio possa valere tanto nell’una quanto nell’altra forma interattiva, cosi come può valere in entrambe le forme anche il “bersaglio” o il “focus” a cui il criterio si indirizza (che in questo caso è “ciò che gli altri fanno o dicono”). Ma anche l’ambito preso in esame da Goffman, cioè l’ambito “interazionale”, paradossalmente risulta essere piuttosto generico, poiché non può essere limitato alla “reciproca consapevolezza dell’altrui presenza”: il fatto che noi presupponiamo che due persone reciprocamente consapevoli dell’altrui presenza stiano interagendo non è così scontato come potrebbe sembrare: se osserviamo due clienti in una sala da bar, seduti l’uno a fianco all’altro a consumare un caffè senza parlarsi o scambiarsi un minimo gesto, non abbiamo nessun elemento per affermare e neanche per escludere che essi stiano interagendo. A rigore, aggiungo, non possiamo neanche affermare se ciascun attore è reciprocamente consapevole dell’altrui presenza. Se utilizziamo il criterio esposto per definire una situazione interattiva ci rendiamo conto che andiamo a finire in un vicolo cieco.
Consideriamo alcuni esempi che Goffman avrebbe classificato, secondo il suo criterio, come interazioni non focalizzate: una situazione in cui due sconosciuti si trovano in uno scompartimento del treno, l’uno di fronte all’altro, e che non prestano, almeno all’apparenza, attenzione a ciò che l’altro fa; oppure, due persone che non si conoscono e si trovano in ascensore; o di due sconosciuti che per attimo s’incrociano per strada e passano l’uno vicino all’altro senza salutarsi o scambiarsi un minimo cenno. Goffman avrebbe classificati incontri di questo genere, in cui gli attori sociali non si sentono impegnati a porre attenzione a ciò che l’altro fa, come interazioni non focalizzate.
In realtà, se andiamo più a fondo nella questione vediamo che in ogni tipo di incontro è sempre presente un livello di attenzione, con la differenza che a cambiare è il focus su cui l’attenzione si concentra; quindi, vedremo come nella nostra prospettiva occorre sempre far riferimento a un’interazione focalizzata, o più precisamente a un tipo di “interazione limitata a…”. Si tratta allora di precisare qual è, in ogni particolare interazioni, il “punto focale” su cui si concentra l’attenzione degli agenti. Nel caso delle due persone che viaggiano in treno, il punto focale dell’attenzione è costituito dal rispetto di una reciproca presa di distanza. Entrambi gli individui sono attenti, anche se all’apparenza sembrerebbe il contrario, a che l’altro rispetti i limiti dell’altrui ambito. Come si può osservare l’espressione “prestare attenzione” se non viene specificato il bersaglio su cui si focalizza può significare tutto o niente. Questi piccoli esempi dimostrano che a rigore ogni tipo di interazione è sempre focalizzato su qualcosa. Si tratta appunto soltanto di stabilire di volta in volta in che consiste questo “qualcosa”.


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