Postato il novembre 22, 2011 | TEATRO | Autore: Giuseppe Floriano Bonanno
Da neofita del teatro sociale mi sono accostato a questo evento con grande curiosità. Curiosità che non è stata affatto delusa: mi sono, infatti, trovato di fronte ad un’opera forte, dura, senza peli sulla lingua che dà proprio la sensazione, come afferma lo stesso Mario Gelardi, «di una sventagliata di kalashnikov, rapida, violenta… che produce fori più grandi e più piccoli». Ma nel contempo è anche la storia di un territorio, di un paese, il nostro, eternamente in bilico tra legalità ed illegalità in cui tutto è ciò che appare, ma anche il suo contrario. Un paese in cui lo Stato è presente a tutto tondo, ma quale Stato? Come sostenuto dal giornalista in un passaggio «qui, non è come in Sicilia dove c’è lo Stato e l’anti-Stato, bensì, come afferma un pentito di vaglia: lo Stato siamo noi!». Lo show, seguendo l’andamento proprio del libro, racconta due livelli di criminalità: quello del braccio armato, della manovalanza, istintivo, animalesco, brutale, e quello del business legale, che non si sporca mai le mani, ma che ha le mani in pasta ovunque, a tutti i livelli, in tutto il mondo.
Fa da trait d’union la figura di Roberto Saviano che, come un moderno Virgilio, ci conduce in questo viaggio tra i gironi infernali in cui il malaffare si è ramificato. Ecco dunque gli accenni al lavoro tessile, alle fabbriche di cinesi che lavorano producendo per la grande distribuzione, ma anche per le grandi firme, ma soprattutto al problema dello smaltimento dei rifiuti, con le sue discariche abusive, stracolme di rifiuti tossici, vere bombe ad orologeria per la salute degli abitanti del territorio. Ma è anche storia di soprusi, di sogni, di violenza, di apparenza, di buoni e cattivi propositi che trasformano la gente in vittime o carnefici. Quella che è profondamente colpita è però la coscienza civile dello spettatore-cittadino che ascolta, che impara, che trasale, che scuote il capo vinto da un senso d’impotenza che spiega perché tutto si modifica, si adegua alle nuove dinamiche socio-economiche, ma nulla muta in un territorio che poi è anche un paese intero che non riesce ad affrancarsi da questo astringente giogo che lo opprime a tutti i livelli. “Gomorra”, in conclusione, mette in scena non solo l’esistenza del Sistema, la camorra moderna, ma lascia intravedere anche i risvolti dell’anticamorra. Saviano con la sua denuncia è già l’anticamorra. Se è vero che l’alleato più forte del Sistema è il silenzio, Roberto Saviano e tutti coloro che hanno divulgato la sua opera rappresentano già il primo tassello dell’antisistema. E questo commuove e colpisce, lasciando turbati.
Gli scatti inseriti nell’articolo sono stati gentilmente concessi dal Teatro Duse di Bologna