Se n'è andato, mi pare si possa dire, in punta di piedi: cosa che in effetti torna davvero poco con il carattere di un uomo che non fu certo uno scrittore appartato, chiuso nella sua torre d'avorio, piuttosto un personaggio che si faceva ben notare sia a Hollywood che a Washington. Personaggio da film lui stesso, detestato e amato in dosi ugualmente generose, connesso in qualche modo con tutto ciò che per noi per lunghi anni è stata l'America.
Che poi chissà che vuol dire, in punta di piedi, per uno come lui. Aveva 86 anni, era malato. Da tempo non usava più le sue parole come frusta contro l'establishment, contro gli affaristi di ogni risma, contro la politica dove alla fine tutti i gatti sono bigi.
Però forse è l'America che l'ha accompagnato fuori in punta di piedi. La stessa America che per decenni l'ha osannato o insultato, a volte anche trascurato, ma trascurato con quell'indifferenza premeditata e ostentata che alla fine fa più rumore di un Pulitzer.
La notizia sul giornale, un coccodrillo già pronto, un critico letterario invitato a scrivere qualche cartella. Ed è finita.
Anch'io me ne sono accorto solo per caso, recuperando un giornale vecchio di qualche giorno per altri motivi. Buffo, poco tempo fa avevo tirato fuori dallo scaffale L'età dell'oro, un libro di Gore Vidal che sono intenzionato a leggere, prima o poi.
Ha detto, Gore Vidal:
Al contrario di quanti molti credono, la fama letteraria non ha nulla a che vedere con l'eccellenza o con la vera gloria. Per qualunque artista, la fama è la misura di quanto l'agorà trovi interessante la sua ultima opera.
Era passato un certo tempo da quando all'agorà non era stata data in pasto un'ultima opera interessante di Gore Vidal, proprio lui, lo scrittore che con i suoi romanzi ci ha raccontato due secoli di storia di America.