Se Johnny Cash fosse vivo, oggi avrebbe ottant’anni.
In questi giorni la Sony Music, memore del fatto che Cash ha ancora un “suo” pubblico, nonostante le nuove mode surclassino di questi tempi troppo in fretta il cosiddetto”vecchio” , ha pubblicato, fiutando l’affare, una serie di compilation di Cash, dal titolo “The Greatest”, tra cui c’è anche un cd, che è “Gospel Songs”, per gli amanti del genere.
In realtà il fascino che emanano voce e suono , e che non incontra difficoltà a coinvolgere chi ascolta, nasce da un tormentato percorso spirituale dell’ “Uomo nero”, Johnny appunto, nato e cresciuto in una modestissima famiglia di contadini a Dyees, nel lontano Arkansas.
Fascino, sensibilità esacerbata, eccessi ,certamente anche tanti, forse troppi, ma temperati sempre e comunque da un rigore estremo personale a cominciare dal profondo “sé” e poi , professionale, per quanto riguarda la “sua”arte.
Proprio perché uomo in ricerca.
Grandissima era, è stata e rimane in lui l’empatia per i più deboli e gli emarginati.
Ed è anche questo che lo fa amare. E fa amare la sua musica da cui tutto ciò emerge libero e spontaneo.
Il “gospel”, che Johnny Cash ha appreso a cantare, bambino, nei campi di cotone con sua madre, non è stato e non è forse che l’unico modo di pregare che egli conoscesse.
E per Dio non ha importanza.
Manifestazione di una fede “maschia” e appassionata, che può essere definita, a mio avviso, scelta di libertà.
Libertà che merita rispetto.
Ritornando al “gospel, il sogno di quel Johnny , ragazzino, è nella città di Memphis che si concretizza
E da quel giorno in avanti è successo dopo successo mentre intanto si materializza l’artista Johnny Cash, quello che abbiamo imparato a conoscere e apprezzare.
a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)