Nuovi modelli spiegano la scomparsa del magnetismo
di Patricia Carracedo Justicia
Assenza di atmosfera. Diametro pari a 3.476,2 chilometri. Spessore medio della crosta pari a 68 chilometri. Mantello sottocrostale parzialmente fuso con un raggio medio di circa 300 chilometri. Baricentro spostato di 2 chilometri, nella direzione della Terra, rispetto al suo centro geometrico. Presenza di elementi geomorfologici diversificati tra cui il bacino più grande del Sistema Solare, con un diametro di 2.250 chilometri e una profondità di 13 chilometri. Queste e tante altre caratteristiche rendono la Luna ancora più affascinante di quanto possa farlo una semplice visione a occhio nudo nel buio delle nostre notti terricole. 382 chili di souvenir portati dalle missioni Apollo aumentano il suo fascino e la rendono il corpo più studiato nel Sistema Solare. Uno dei tanti misteri ha inizio proprio con lo studio dei reperti portati dalle missioni lunari. Infatti le analisi hanno fornito evidenze dell’esistenza di un campo magnetico lunare 4,2 miliardi di anni fa, mentre finora si è supposto che fosse scomparso molto tempo prima. Per decenni nessun modello è stato in grado di dare una spiegazione di questi risultati. Però adesso ci sono importanti novità.
Qui per orientarsi la bussola è inutile. (Cortesia: NASA)
I vecchi modelli spiegavano la formazione del campo magnetico della Luna mediante movimenti convettivi di origine termica. In altre parole, si pensava che il campo magnetico fosse alimentato da movimenti complessi della materia del nucleo e del mantello, a causa delle alte temperature del nucleo. Tuttavia questi modelli presentavano grossi limiti. Anzitutto, per generare un campo magnetico le dimensioni della Luna sarebbero dovute essere molto più grandi di quelle reali. In secondo luogo, i modelli datavano la scomparsa del campo magnetico molto prima delle evidenze mostrate dallo studio dei campioni. Ora due nuovi modelli sono scesi in campo. Entrambe si basano sul mescolamento meccanico: una diversa interpretazione geodinamica per cui una differenza tra il moto del mantello solido e quello del nucleo liquido genera un campo magnetico.
Il primo modello è presentato in un articolo pubblicato su “Nature” firmato da Christina Dwyer e i suoi colleghi dell’Università della California a Santa Cruz e del Caltech. I ricercatori suggeriscono che la differenza nei moti interni sia provocata dall’influenza attrattiva della Terra. La Luna, che ha una forma ellissoidale con l’asse maggiore puntato verso la Terra e un asse di rotazione leggermente inclinato, in passato si trovava molto più vicina al nostro pianeta. L’influenza della Terra era dunque molto maggiore, tale da indurre intensi movimenti differenziali tra il mantello e il nucleo lunare, capaci di far perdurare il campo magnetico fino a 2,7 miliardi di anni fa.
Nel secondo modello, proposto sulla stessa rivista in un articolo firmato da studiosi francesi e belgi guidati da Michael Le Bars, dell’IRPHE, il mescolamento meccanico è spiegato dalle variazioni nel regolare moto di rotazione del satellite dopo l’impatto con asteroidi. Questi scontri forniscono una quantità di energia sufficiente ad aumentare le differenze di movimento tra il mantello e il nucleo.
Finisce qui? Non si sa. Il bello della scienza è la costante e continua reinterpretazione della realtà, nella ricerca del modello più fedele alla realtà stessa.
Dwyer, C., Stevenson, D., & Nimmo, F. (2011). A long-lived lunar dynamo driven by continuous mechanical stirring Nature, 479 (7372), 212-214 DOI: 10.1038/nature10564
Le Bars, M., Wieczorek, M., Karatekin, �., Cébron, D., & Laneuville, M. (2011). An impact-driven dynamo for the early Moon Nature, 479 (7372), 215-218 DOI: 10.1038/nature10565