Berlusconi è uscito di scena con saggezza. Ha saputo ragionare con freddezza e ha avuto un occhio di riguardo per l’Italia. La tempistica è stata brutale, ma quando agiscono sopra di noi forze superiori è bene adeguarvisi senza disperdere inutilmente le proprie. Ovviamente, nella testa dell’ex Presidente del Consiglio questa non è che una ritirata strategica, anche se non sarà più lui in futuro a guidare le truppe. In piazza a fare gazzarra non c’era la plebaglia del Caimano, ma quella dei fissati col Caimano: la prima, che non esiste, è solo il riflesso della seconda, che esiste. Ora comincia l’interludio, non si sa quanto lungo, del governo Monti, commissario per conto dell’informale direttorio europeo. Il quale certo lo appoggerà, facendosi sentire presso la classe politica italiana. Ma è fatale che dopo l’ebbrezza dell’intronizzazione un po’ alla volta la politica scacciata dalla porta rientrerà dalla finestra. La realtà è che tutti si tengono le mani libere e che domina l’ambiguità. Non può essere diversamente perché lo stesso Monti, o i suoi ventriloqui della grande stampa, si dimostrano ambigui. I toni roboanti, le stucchevole tirate sul “fare presto”, servono proprio a surrogare una schiettezza che non c’è: si alza il volume, ma manca la chiarezza. Si vedrà che anche il “governo del fare” di Monti, come quello di Berlusconi, dovrà trovare una maggioranza politica che lo sostenga. E finché si tratterà di sciocchezze potrà anche essere una maggioranza vasta o variabile, ma poi, quando il gioco si farà duro, e si parlerà di pensioni, lavoro, liberalizzazioni e patrimoniali o questa maggioranza non si troverà, oppure da una qualche parte dovrà assestarsi. Un comico frutto di questo balletto intellettuale fra ferrei propositi e tattiche reticenze si trova in un editoriale del Corriere della Sera a firma di Angelo Panebianco, che scrive:
Un altro errore da evitare (è il problema più delicato) riguarda la navigazione dell’esecutivo. Con i suoi provvedimenti, il governo Monti non dovrà dare l’impressione di penalizzare sistematicamente gli elettori di una parte rispetto a quelli dell’altra, mettendo così in una situazione insostenibile qualcuna delle forze che lo appoggiano. Qui conterà soprattutto la grande esperienza politica di Napolitano.
Ma come? Non doveva servire il governo Monti ad implementare con energia e celerità le misure imposte dall’Europa senza guardare in faccia nessuno, ma facendole accettare lo stesso grazie alla sua autorevolezza, cui il senso di responsabilità dei politici doveva inchinarsi? La situazione è grave, ma non seria, parrebbe: anche per i contegnosi e consapevoli patrocinatori del governo “tecnico” è già tempo di mezze misure, prima ancora di cominciare. Nel giro di una settimana, silurato Berlusconi, alle mezze calzette di Confindustria o del club montezemoliano la sola idea della “macelleria sociale” – ossia ciò che “l’Europa ci chiede” – sembrerà brutta quasi come ai Bonanni e agli Angeletti. Lascio stare la Camusso, che è un caso disperato. In effetti, nonostante i proclami dei firmaioli del Sole24Ore, nessuno di loro si aspetta che Monti abbia la forza e la volontà di mettere in atto un’impopolarissima politica “liberale” in materia di pensioni e lavoro. Dirò di più: loro stessi non lo vogliono. Il disegno è quello di compensare una “mezza risposta” all’Europa con una patrimoniale coi fiocchi. Un’italianissima furbizia, che avrà stavolta il timbro della più alta moralità e alla quale sarà altamente responsabile conformarsi. Monti, che non è affatto un cuor di leone, e con lui tutto il resto dell’establishment, cominceranno a pendere sempre più verso sinistra, a cianciare di condivisione e di tavoli allargati sotto lo sguardo non troppo compiaciuto dei loro sponsor europei. Il Pdl, se vorrà dimostrare di non essere morto, potrà gridare al tradimento dell’agenda europea e proporsi come il solo (grande) partito “potenzialmente” credibile in materia di riforme, anche se è probabile che una parte dei parlamentari azzurri andrà ad ingrossare il fronte dei… “responsabili”. Ma a quel punto l’emorragia conterà poco o punto in vista delle elezioni. Se invece il commissario riluttante Monti non vorrà finire per essere commissariato a sua volta dagli odiati tecnocrati europei, e non vorrà ingloriosamente dimettersi pure lui, dovrà per forza andare col cappello in mano da Berlusconi, che così otterrà la sua rivincita, e potrà, in caso di felice esito parlamentare, farsi passare per salvatore della patria e rimediare così anche all’impopolarità delle misure prese. In effetti, una volta superata la delusione della sconfitta, l’idea che subito si è insediata nella mente di Berlusconi è quella di fare del Pdl la colonna portante, insostituibile, del governo Monti, e di vincere, per così dire, la partita dall’interno. Per la sinistra politica, ovviamente, vale lo stesso discorso, per i motivi opposti. Con queste differenze: che l’agenda europea non contempla patrimoniali, tanto più nel momento meno indicato, quando si cercano disperatamente risorse per la ripresa; che essa cozza dolorosamente con le idee d’ingombranti compagni di strada; e che più il tempo passa, più l’abbrivio che doveva portarla in posizione di forza alle elezioni si esaurisce.
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