Continua la serie di post sulla grafologia realizzati grazie alla collaborazione dell’AGIF, Associazione Italo-Francese di Grafologia, che ringraziamo molto. Oggi vi proponiamo una breve analisi della grafia di Giacomo Leopardi. Qui trovate il post introduttivo, qui l’analisi della scrittura di Barack Obama, qui quella di George W. Bush, qui quella di Giovanni Paolo II.
Della grafia di Giacomo Leopardi colpisce, nel panorama scrittorio dell’epoca, la struttura fortemente personalizzata e stilizzata di ogni singola parola, con la presenza delle “d” di forma così particolare, con i prolungamenti in alto delle lettere così visibili (nelle lettere “l”,“b” ecc.), ma soprattutto in basso (sotto la linea di base, nelle lettere “g”, “p “, “q”) che fanno pensare all’importanza, nello scrittore, della sessualità, seppur rimossa a livello inconscio.
Le maiuscole ben evidenziate, il rigo ben tenuto, l’organizzazione generale dello scritto e alcuni elementi particolari della scrittura denominati “i piccoli segni” (per esempio i tagli delle “t”), indicano un pensiero proteso senza alcun indugio alla propria realizzazione artistica.
I bordi della parola, sfrangiati e sbavati per ecceso di inchiostro, forniscono l’ulteriore elemento espressivo di un tormento che invade il pensiero artistico e per il quale l’espressione scritta, così intensa e perfetta nella struttura stilistica, svolge per il poeta un importante ruolo catartico.
COMMENTI (1)
Inviato il 10 maggio a 23:32
Tre imprecisioni: 1 — La ‘d’ è particolare per noi ma allora era di uso comune, e se ne trovano molteplici esempi in tantissimi scrittori dell’epoca. 2 — Il rigo ben tenuto; e ti credo! il foglio era rigato… (se permesso posso fornire il link). Ciononostante L. esce spesso dal rigo. 3 — Sarò cieco, ma io non vedo né sbavature né sfrangiature. Non intendo farmi pubblicità e quindi non fornisco l’indirizzo del mio sito leopardiano. Ringrazio per l’analisi, che mi interessa; ma va ritoccata.
Q.
P. S. I tagli delle ‘t‘. Col tempo si evolveranno a uncino.