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Gustave si intrattiene con molte delle sue facoltose ospiti, tutte più vecchie di lui e fornisce loro servizi di ogni tipo, anche sessuali.Una di queste ospiti prima di morire gli affida un preziosissimo quadro ma il figlio di lei Dimitri lo fa arrestare dalla polizia per furto.
Lui aiutato dal facchino immigrato Zero e dalla sua innamorata , Agatha che ha una voglia sulla guancia a forma di Messico, riesce a fuggire di prigione e a scoprire il testamento della vegliarda che lascia tutto a lui e disereda figlio e parenti.
Ma prima di arrivare alla soluzione definitiva delle cose ne succederanno delle belle...
Nella settimana che porta dritti dritti alla cerimonia di assegnazione degli Oscar , oggi è la volta del film che assieme a Birdman è accreditato del maggior numero di nominations, ben 9, e che rischia di essere uno dei favoriti alla corsa per i premi, nonostante sia quello che sia uscito al cinema da più tempo, circa 10 mesi ormai , fattore da non sottovalutare.
Insomma non è freschissimo di stampa e il ricordo potrebbe essere affievolito.
Ecco, io sono in difficoltà quando devo parlare di questo film in particolare , come ho molta difficoltà a parlare del cinema di Wes Anderson in generale.
Il mio pensiero su questo film è assolutamente minoritario e temo che con questa recensione , o pseudotale, non mi farò molti amici, ma mi raccomando cercate di non tirare sul pianista.
Normalmente apprezzo il cinema di Wes Anderson a film alterni: fui colpito da I Tenenbaum, non da Le avventure acquatiche di Steve Zissou, mi piacque Rushmore che nel frattempo avevo recuperato, mentre non avevo gradito più di tanto Il treno per Darjeeling, poi addirittura ne avevo graditi due di seguito, Fantastic Mr Fox e Moonrise Kingdom.
Con Grand Budapest Hotel finalmente ho capito una cosa : io DETESTO cordialmente Wes Anderson e il suo modo spocchioso e supponente di fare cinema, quel suo voler sempre essere il primo della classe, quel suo sempre dare di gomito alla critica con citazioni su citazioni e se sono dotte è meglio anche, quel suo fare l'occhiolino in continuazione al pubblico con quei colori sgargianti e quella confezione accattivante oltre che con il cast stellare che riesce sempre ad assemblare ad ogni suo film.
Grand Budapest Hotel ( a proposito complimenti al titolista italiano che ha smarrito l'articolo durante la copiatura) è l'apoteosi di tutto quello che ho appena scritto, il cinema bomboniera di Wes Anderson arrivato ai massimi livelli o forse dovrei dire al punto di non ritorno.
Vedere questo film che saccheggia senza pietà la commedia gloriosa dei vari Lubitsch o del Wilder del primo periodo, quello europeo, mi irrita profondamente, così come vedere il modo in cui gioca con i formati cinematografici, cosa assolutamente ininfluente ai fini della fruizione del film, roba da nerd cinefilo che si traduce nella constatazione amara che Wes Anderson non si sottrae di fronte a nulla pur di fare qualcosa di stravagante e trasversale.
Vedere Grand Budapest Hotel è come vedere quelle palle di vetro con la miniatura di un monumento dentro.
Quelle cose mediamente inutili di cui sono pieni i negozi di souvenir, utili solo per riempire uno spazio vuoto sopra un mobile.
Cinque minuti va bene , ma vedere questa roba per oltre un'ora e mezza è una grandissima rottura di...
Palle di vetro che se le agiti si riempiono di neve ovunque, sia gli interni sparatissimi di colori saturi con netta prevalenza del rosso, sia gli esterni che sembrano presi da un fumetto degli anni '30 oppure da un film muto di Charlot.
Anderson ha una sua cifra stilistica ed è necessario oltre che giusto riconoscergliela, tutti i suoi film si riconoscono al primo sguardo e ha anche un modo di scrivere che di americano non ha nulla e anche questo è un grande merito da ascrivergli.
Riconosciuto questo. possiamo dire quanto ci pare che questo suo ultimo film sia un miracolo di scrittura che riflette sull'arte e sul modo di narrarla , come già giustamente scritto da altri ben più autorevoli del sottoscritto, e un mirabile esercizio di stile ( la struttura a scatole cinesi ) ma il punto è esattamente questo : non si esce dall'esercizio ( di scrittura e di stile) fine a se stesso, sterile, senza sbocchi se non nell'immaginario pantagruelico del suo autore, dotato sì di fervida fantasia ma anche abile riciclatore di fantasie altrui.
E stabilire quale sia la grandezza del cineasta Anderson sta proprio nel riuscire a distinguere tra quanto tutto questo sia frutto della sua visionarietà e quanto sia figlio di citazioni, influenze e tutto il background culturalcinematografico che il buon Wes si porta dietro.
In Grand Budapest Hotel c'è questo, c'è solo questo, c'è troppo di questo, anzi troppo di tutto.
E si sa che il troppo storpia...
PERCHE' SI : la confezione è inappuntabile come al solito, cast stellare, costumi e scenografie da urlo
PERCHE' NO : esercizio di scrittura e di stile fine a se stesso, citazioni su citazioni per compiacere la critica e al pubblico, l'ennesima cinebomboniera targata Anderson
( VOTO : 4 / 10 )
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