Magazine Cinema
di Wes Anderson (Usa, 2014)
con Ralph Fiennes, Tony Revolory, F.Murray Abraham, Jude Law, Saoirse Ronan, Edward Norton, Harvey Keitel, Tilda Swinton, Willem Dafoe, Adrien Brody
durata: 99 min.
★★★★☆
Wes Anderson è tornato, e questa è già una bellissima notizia. Se poi ci mettete che il regista texano (ma parigino d'adozione) firma quello che, a tutti gli effetti, è il suo film più maturo e convincente da un bel pò di tempo a questa parte, allora è proprio festa grande. Lo diciamo con soddisfazione e tirando un sospiro di sollievo per un Autore con la 'A' maiuscola che nelle sue ultime opere, seppur sempre estremamente 'carine' e godibili come Fantastic Mr. Fox e Moonrise Kingdom, sembrava aver tirato un po' il fiato imboccando la strada dell'autoreferenzialità...
Invece Grand Budapest Hotel rappresenta un notevole salto di qualità nella filmografia di Anderson. Lo stile è sempre quello (stralunato, onirico, disincantato, riconoscibilissimo) ma stavolta l'obiettivo è ambizioso e la pellicola vola altissima, raccontandoci non solo una (solita) storia di fughe repentine e amori difficili, ma anche regalandoci una profonda riflessione su temi universali quali il razzismo, l'intolleranza, l'insensatezza della guerra e i timori della gente semplice verso un mondo sempre più complicato e incomprensibile. Oltretutto Grand Budapest Hotel è anche un film molto complesso nella struttura e nella realizzazione, trattandosi di un film corale, pieno zeppo di personaggi più o meno di passaggio e ben raccordati dalla sceneggiatura (scritta come sempre dal regista stesso).
Il racconto infatti è un affascinante gioco di scatole cinesi e salti temporali: comincia più o meno ai giorni nostri, con una ragazzina che rende omaggio a uno strano monumento dove sono appese decine di chiavi e apre un libro dal titolo uguale a quello del film. Da qui saltiamo velocemente nel 1968 dove, in un immenso albergo cupo e decadente, ormai praticamente vuoto, vediamo l'autore del libro che intervista un personaggio ancora più strano, ovvero il padrone dell'albergo stesso che un tempo, si dice, faceva il portinaio... per scoprire tutto bisogna andare ancora più indietro negli anni, ovvero al 1932 dove, in una fantomatica nazione dell'Est Europa, scopriamo che quello stesso portinaio faceva il garzone del concierge dell'epoca: un affascinante e arruffone playboy di attempate dame di compagnia cui una di esse, in punto di morte, gli lascia in eredità un dipinto dal valore inestimabile. I due si vedono così costretti a fuggire per non cadere nelle grinfie di avidi parenti-serpenti e di un sadico sicario assoldato per l'occasione, ma lo scoppio della guerra renderà ovviamente tutto molto più complicato...
E' fin troppo facile constatare che l'albergo, il leggendario Grand Budapest, è il vero protagonista della pellicola, un microcosmo composto di tanti universi diversissimi tra loro che sono il chiaro specchio di un' Europa ancora fragile, diffidente, nient'affatto pronta a fronteggiare la barbarie e l'avidità dei suoi abitanti. Anderson è formidabile nel rendere appassionante e credibile una storia complicata e movimentata, fatta di fughe rocambolesche, evasioni, travestimenti, delitti efferati, il tutto descritta con il consueto stile lieve e delicato, mai sopra le righe, ormai un marchio di fabbrica del suo cinema. Gli danno una grossa mano gli interpreti, numerosissimi e tutte star del cinema, alcuni dei quali hanno accettato di apparire anche per piccoli camei pur di esser presenti. Così, ai personaggi principali (il portinaio Ralph Fiennes e il suo garzone Tom Revolori) si aggiungono nomi dal calibro di Jude Law (lo scrittore), Willem Dafoe (il killer), Tilda Swinton (l'amante ottuagenaria), Adrien Brody (il figlio defraudato dall'eredità e disposto a tutto pur di riprendersi i soldi), Edward Norton (il capo dell'esercito), eccetera eccetera...
Film incantevole, dunque. Un vero paradiso per cinefili che strizza l'occhio al cinema europeo degli anni '30 (da Ernst Lubitsch a Frank Capra) senza però mai scadere nella violenza e nella volgarità. Dedicato alla memoria di Stefan Zweig (scrittore austriaco perseguitato dai nazisti e morto suicida in sudamerica) è una vera e propria gioia per gli occhi, da vedere e rivedere.
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