Spinto dalla curiosità dovuta al lavoro che svolgo e da una certa attrazione per la normalità del lusso, con particolare voracità ho letto il best seller di Vicki Baum “Grand Hotel”, romanzo datato 1929 e riproposto quest’anno da Sellerio. L’autrice morta nel 1960 a 72 anni di leucemia, può essere considerata a ragion veduto la vera inventrice del best seller e l’iniziatrice di un genere letterario che va sotto il nome di “romanzo d’albergo”, nonché ispiratrice di un modello di donna coraggiosa e indipendente anticipatrice di un “femminismo” che nulla ha a che vedere con il pseudo-femminismo dei giorni nostri.
“Grand Hotel” è una commedia sofisticata e deliziosa in cui un gruppo di personaggi brillantemente alla deriva si ritrova in un lussuoso grande albergo berlinese fra le due guerre a vivere gli ultimi fasti della propria grandeur prima che la guerra travolga tutto e tutti. Vi troviamo la fragile e solitaria diva del balletto russo Grusinskaya, la giovane stenografa Flammchen disposta a tutto per diventare qualcuno e poi il bel barone ladro di gioielli Felix von Gaigern e l’impiegato Kringelein che cerca una rivincita sulla morte. Ancora lo spregiudicato giocatore d’azzardo Preysing e il dottor Ottenschlag colui che con le sue parole segna l’epitaffio di un mondo dorato e inarrivabile: “Grand Hotel, sempre la stessa storia. Gente che va, gente che viene. E nulla succede mai”.
Letto oggi e specialmente da chi si nutre del lavoro in un grande albergo, il romanzo di Vicki Baum non mostra assolutamente gli anni che possiede tanto è la vero somiglianza tra passato e presente e la stessa critica acuta e leggera a una società moderna frammentata e impersonale che la scrittrice poneva all’epoca vale ancora oggi per un microcosmo dove la vita scorre veloce e i destini delle persone si intrecciano in un caleidoscopio di avventure e tragedie che passano senza lasciar segno.
Parola di receptionist.