Non c’è suddito britannico che non conosca la storia della famiglia reale e le immagini delle sue tappe salienti, soprattutto dagli anni Trenta in poi, con l’abdicazione del re Edoardo VIII e l’ascesa al trono del fratello Giorgio VI, padre dell’attuale regina Elisabetta II.
Gran parte di queste testimonianze, a cominciare dalla fotografia ufficiale del discusso matrimonio tra Edoardo e Wallis Simpson per arrivare all’incoronazione di Elisabetta e alla nascita dei suoi figli, è opera di Cecil Beaton, forse il maggior fotografo inglese del ventesimo secolo (Londra, 14 gennaio 1904 – Broad Chalke, Wiltshire, 18 gennaio 1980), o almeno il più conosciuto dal grande pubblico.
Nato da un padre agiato commerciante e da una madre con frustrate ambizioni mondane, il giovane Cecil impara presto a usare una macchina fotografica Kodak di medio formato grazie alle lezioni impartitegli dalla governante delle sorelle e si cimenta nei primi ritratti in ambito familiare. Non si tratta, però, delle classiche istantanee, perché Cecil usa le sorelle e la madre come modelle da abbigliare a suo piacimento, inventando costumi e scenografie con l’uso di lenzuola, scampoli di tessuto, specchi, fioriere e tutto quanto può creare un mondo fantastico, anticipazione delle sue opere successive.
Dopo gli studi di architettura a Cambridge, che non porta a compimento, Beaton lavora nell’azienda paterna, ma, nel tempo libero, continua a scattare ritratti, soprattutto tra i giovani di buona famiglia che animano con lui la vita mondana londinese, fino a ottenere la pubblicazione di alcune opere su Vogue.
Dalla fine degli anni Venti, conquistata una certa fama di ritrattista alla moda, lascia l’impiego per dedicarsi alla fotografia a tempo pieno per il gruppo editoriale Condé Nast: lavora per Vogue e Vanity Fair, realizzando servizi sulle celebrità e occupandosi anche di moda. Le sue immagini sono sempre studiatissime, eleganti, cariche di un’artificiosità che oggi appare fuori moda, ma che allora era molto apprezzata nel mondo patinato del nascente jet-set.
Negli anni Trenta, Beaton intuisce che il centro di questo mondo si sta spostando oltre Atlantico e si trasferisce negli Stati Uniti, dove diventa il fotografo più ricercato dagli attori hollywoodiani. Sono sue le più belle immagini di Marylin Monroe, Marlene Dietrich e Greta Garbo, con cui ha un’intensa relazione a dispetto della propria dichiarata omosessualità, ma non esita a scrivere nei suoi diari critiche pungenti a dive celebratissime come Mae West o Katharine Hepburn, mostrando di disprezzare quello stesso mondo che gli ha dato la celebrità.
Nel 1938, alcune scritte antisemite presenti in una sua fotografia pubblicata da Vogue America suscitano una bufera: la rivista è ritirata e ristampata senza l’immagine incriminata e Beaton, licenziato in tronco, torna in Inghilterra.
I critici lo accusano di una certa artificiosità nella composizione delle immagini, dove abbondano sfondi dipinti, giochi di luce e fotoritocchi: anche Elisabetta II nel giorno della sua incoronazione è ritratta davanti a un finto interno della cattedrale di Westminster, ma occorre dire che all’epoca questi “trucchi” erano usati abitualmente dai ritrattisti.
Negli anni Cinquanta, Beaton va a Broadway a disegnare scene e costumi per molti spettacoli teatrali e per le versioni cinematografiche di Gigi nel 1958 e My Fair Lady nel 1964, vincendo per entrambe l’Oscar per i migliori costumi e guadagnandosi la nomina a baronetto. Colpito, nel 1974, da un ictus che lo lascia semiparalizzato, continua caparbiamente a lavorare, imparando a scrivere con la mano sinistra e adattandosi le macchine fotografiche. Vende poi all’asta gran parte del suo immenso archivio e pubblica un’edizione censurata degli sterminati diari, ristampati dopo la sua morte nella versione integrale, fitta di caustiche osservazioni sul mondo inglese e americano, e sui personaggi incontrati.
Cecil Beaton non può essere considerato soltanto un fotografo: da vero dandy ha costruito la sua vita come una grande esperienza estetica, ha creato e imposto mode e appare come uno dei maggiori protagonisti dell’alta società anglosassone del Novecento.
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