Il fotogiornalismo non è stato un fenomeno soltanto statunitense, perché negli anni in cui l’uso delle immagini fotografiche soppiantava lentamente i disegni, che fino a quel momento avevano illustrato gli articoli sulle pagine di quotidiani e periodici, la presenza dei fotoreporter si faceva sempre più indispensabile in tutte le redazioni.
In Italia, il padre del fotogiornalismo moderno è senza dubbio Adolfo Porry Pastorel (Vittorio Veneto, 1888 – Castel San Pietro Romano, 25 maggio 1960), che nasce in una benestante famiglia veneta con ascendenze cosmopolite (nonno inglese, nonna francese), trasferitasi poco dopo la sua nascita a Roma.
Giovanissimo, è assunto da Ottorino Raimondi, direttore del Messaggero e suo padrino, che prima lo indirizza allo studio delle tecniche tipografiche, mandandolo anche in Germania ad apprendere la zincografia, e poi lo dirotta come cronista al nuovo quotidiano La vita.
Qui Porry Pastorel prende l’abitudine di corredare i propri articoli di cronaca con delle fotografie, che scatta di persona con una semplice fotocamera Kodak, e quando nel 1908 viene assunto dal prestigioso Giornale d’Italia, è subito incaricato di allestire il primo laboratorio di fotoincisione del quotidiano.
Nello stesso anno, fonda l’agenzia VEDO (Visioni Fotografiche Diffuse Ovunque), per la quale recluta molti giovani che diventeranno in seguito famosi, come Mario Tursi e Tazio Secchiaroli. Diventa quindi, in breve tempo, il principale testimone della vita romana dei decenni successivi, cercando, però, sempre di unire al dovere di cronaca la ricerca di una certa perfezione formale: sono suoi i più famosi ritratti dei personaggi in vista dell’epoca, dagli esponenti della ricca borghesia in ascesa ai primi divi del cinematografo, ma anche alcune immagini storiche della vita politica, come quelle dell’arresto di Mussolini nel 1915 o della conferenza di Versailles al termine della Prima Guerra Mondiale.
Prima della trasmissione delle immagini per via telefonica o telegrafica (le famose telefoto che occuperanno le pagine dei quotidiani dalla metà degli anni Trenta ai Novanta, fino all’affermazione dei programmi digitali), Porry Pastorel s’inventa un ingegnoso sistema di trasmissione veloce dei suoi rullini alla redazione del giornale utilizzando piccioni viaggiatori.
Riesce così a stupire Mussolini e Hitler, nel corso della visita ufficiale di quest’ultimo in Italia, facendo loro trovare, all’arrivo nel porto di Napoli, un quotidiano recante già in prima pagina le foto scattate poche ore prima a bordo della nave che li ospitava.
Negli anni del Fascismo, Porry Pastorel riesce a mantenere una posizione abbastanza autonoma, evitando di scadere nella celebrazione ossequiosa del regime: predilige fotografare le autorità cogliendole dietro le quinte del potere più che nelle occasioni ufficiali, e anche in queste si comporta in modo da non risultare troppo retorico e propagandistico.È sua la vasta documentazione della battaglia del grano, la grande campagna condotta da Mussolini per portare l’Italia all’autosufficienza nella produzione dei cereali, senza dover eliminare altre coltivazioni, ma aumentando la resa dei terreni già utilizzati e bonificandone molti fino a quel momento paludosi.
Con l’uso di una Leica dal dorso modificato, in modo da poter cambiare più in fretta i rullini, e di un furgone trasformato in camera oscura viaggiante, è sempre pronto a recarsi ovunque sia necessario per registrare gli avvenimenti del giorno, e benché Mussolini non lo abbia troppo in simpatia, l’Istituto Luce, creazione del regime, utilizza spesso come collaboratori i fotografi dell’agenzia VEDO, oltre ad acquistare circa venticinquemila fotografie del suo ricchissimo archivio.
Durante l’occupazione tedesca, Porry Pastorel utilizza ampiamente il proprio laboratorio per stampare documenti falsi in aiuto dei partigiani. Nel dopoguerra, si trasferisce a vivere a Castel San Pietro Romano, piccolo borgo della provincia romana di cui diventerà anche sindaco, e che grazie ai suoi rapporti con l’ambiente del cinema acquisirà una notorietà mondiale diventando il set dei celebri film Pane amore e fantasia e Pane amore e gelosia, girati nei primi anni Cinquanta dal regista Luigi Comencini.
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