Rispondo al Signor Giulio:
Perché la materia prima locale è “meglio” di quella importata
Innanzitutto mi sento di difendere trasmissioni di inchiesta come Report o Presa Diretta perché bisogna tener conto dello scarso tempo che hanno a disposizione per preparare le inchieste e spesso non sufficiente per poter dire tutto. Nello stesso modo mi sento di difendere, come quasi sempre faccio in questo blog, il prodotto locale….attenzione, non necessariamente nazionale. Il grano e altri prodotti alimentari esteri certamente non è detto che siano meno pregiati di quelli italiani. Il problema sta nel fatto che, quando un prodotto alimentare, più o meno deperibile, lo stocchi, lo trasporti in cargo da milioni di quintali che viaggiano in mare anche per mesi interi e poi lo movimenti di nuovo e lo depositi in altri silos all’interno di un porto mercantile, certamente devi prendere un bel po’ di precauzioni; perché in tutto questo tragitto al prodotto non deve accadere nulla, dato che è molto suscettibile ad infestazioni dovute a insetti, muffe e roditori. Pensiamo ad un grano raccolto e stoccato in loco, trasportato a malapena per qualche ora e depositato per essere poi molito dopo qualche mese. Certamente richiederà meno precauzioni. Poi dobbiamo tenere conto del fatto che i grandi compratori/speculatori del grano (e questo argomento merita un post successivo!) solitamente comprano, stoccano e hanno necessità di tenere il prodotto depositato anche per più di un anno, per giocare sull’andamento dei prezzi del mercato e speculare. Chi commercia grano è come una banca che invece di possedere valute, possiede granaglie. Quindi, non dico che italiano è meglio, ma che ogni paese dovrebbe fare in modo per prima cosa di utilizzare i propri prodotti per il consumo interno, ma questo è il paradosso del mercato globale, all’interno del quale le merci partono da un posto, fanno giri vorticosi e poi magari tornano anche indietro con un prezzo maggiore.
Stoccare e preservare i cereali
Insomma il grano e gli altri cereali, ma anche caffè, cacao ecc. necessitano per forza di cose di trattamenti che altrimenti, destinerebbero grossa parte delle derrate a sicure infestazioni e problematiche di tipo sanitario. Attualmente sono due le tecniche maggiormente utilizzate: l’impiego
di insetticidi di contatto e la fumigazione con gas tossici come la “fosfina”. Diciamo che il vero problema sono gli insetticidi da contatto (i noti antiparassitari utilizzati in quasi tutte derrate vegetali), sono i meno costosi da applicare e lasciano sicuramente residui sul prodotto. L’utilizzo dei fumiganti come la fosfina è invece, a mio avviso, molto più sicuro. Come anche illustrato dal lavoro “Difesa delle colture e sicurezza degli alimenti: considerazioni sulla filiera cereali” dell’Università di Torino e Università del Molise, e come anche ribadito dal Servizio Fitosanitario della Regione Emilia Romagna (Dossier apparso sul numero di settembre 2004 della rivista “Agricoltura”), l’uso della fosfina consente un’accurata disinfestazione, e come per quasi tutti i fumiganti, essendo sostanze volatili, non lasciano residui apprezzabili sul prodotto. Tanto è vero che un’ottimale riuscita del trattamento richiede sili perfettamente impermeabili, altrimenti la sostanza si volatilizza nell’atmosfera. In realtà l’utilizzo della fosfina è molto costoso e quindi si stanno sviluppando da anni nuove tecniche, come quella a cui si riferisce il Signor Giulio: l’utilizzo delle atmosfere modificate.
L’uso delle atmosfere controllate
Il principio delle atmosfere controllate, o modificate, si basa sul fatto che anche gli insetti hanno bisogno di ossigeno per sopravvivere; inoltre una concentrazione elevata di anidride carbonica ha un effetto tossico sugli insetti. Le prime prove sono state fatte utilizzando l’azoto (un gas inerteche costituisce circa l’80 % dell’atmosfera che noi respiriamo e che quindi non lascia residui). Tuttavia questo metodo ha incontrato non poche difficoltà, in quanto occorre che l’ossigeno resti sotto l’1% (cosa possibile solo in magazzini praticamente stagni) per un periodo molto lungo (3-4 settimane). Successivamente è stato sperimentato l’impiego dell’anidride carbonica. In questo caso è sufficiente una concentrazione del 40-60%, raggiungibile anche in magazzini non perfettamente stagni, in quanto si sfrutta la tossicità del gas. L’efficacia è ottima, a condizione che vengano
rispettate le concentrazioni ed i tempi, che dipendono dalle specie presenti e della temperatura della massa e dell’ambiente. Sicuramente gli ostacoli maggiori all’impiego di questo gas sono
la mancanza di magazzini ermetici, che aumentano i costi, quando non rendono addirittura impossibile il trattamento, ed i tempi di esposizione, relativamente lunghi (10 ed i 20 giorni).