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Grasso col vuoto: le leggi ad mafiam di Mr B. - Il Fatto della Settimana
Creato il 17 maggio 2012 da Matteviola90La descrizione: "Il procuratore nazionale antimafia ha dichiarato, durante la trasmissione radiofonica "La Zanzara", che Berlusconi si meriterebbe un premio per la lotta alla mafia. Nel Fatto della Settimana ripercorriamo la vita del B. imprenditore e B. politico, mettendo in risalto i rapporti con i mafiosi e le leggi ad mafiam"
L'articolo:
Il procuratore nazionale antimafia, Pietro Grasso, ospite della trasmissione radiofonica “La zanzara” ha dichiarato: “Darei un premio speciale a Silvio Berlusconi e al suo governo per la lotta mafia. Ha introdotto leggi che ci hanno consentito in tre anni di sequestrare 40 miliardi di beni ai mafiosi”. Non è uno scherzo, l'ha detto davvero. Le opzioni sono due: o Grasso lecca per sdebitarsi nei confronti di B., che come vedremo tra poco ha facilitato la sua elezione a procuratore nazionale antimafia, oppure ha dei grossi vuoti di memoria. Tertium non datur: Grasso leccone o Grasso col vuoto. Dando per scontata la prima ipotesi, facciamo finta di credere alle seconda e cerchiamo brevemente di colmare il vuoto del procuratore. BERLUSCONI IMPRENDITORE La carriera del B. imprenditore inizia grazie ad una fideiussione della Banca Rasini (nella quale il padre ricopriva la carica di dirigente). La Banca Rasini, secondo la Magistratura italiana, era l'istituto di credito che riciclava il denaro della Mafia ed aveva fra i tanti clienti Totò Riina e Bernardo Provenzano (e B. ovviamente). I successivi investimenti sono invece finanziati da una “pioggia di liquidità”, che arriva nelle casse delle società di CayMan direttamente da conti Svizzeri (detta in brevissimo. La cosa in realtà è molto più complicata). Si parla di 93,9 miliardi di Lire, arrivati nei conti delle società tra il 1975 e il 1978. Interrogato dal pm Ingroia sulla provenienza di questi soldi, B. si avvale della facoltà di non rispondere. Secondo le ricostruzioni fatte dalla Magistratura, i soldi provenienti dai conti svizzeri sarebbero di proprietà mafiosa. Poi ci sono gli incontri con Cosa Nostra. Nel maggio 1974, B. incontra a Milano, Bontate, Cinà e Teresi, che non erano certo delle mammolette, santi laici o filantropi, ma mafiosi ben noti. Il rendez vous è organizzato da Dell'Utri, che, come dimostrato dalla parole del collaboratore di giustizia Francesco Di Carlo, conosceva già Bontate e Teresi. Nell'incontro i boss decidono di offrire la propria protezione all'imprenditore brianzolo ed a garanzia della parola data, inviano a Milano Vittorio Mangano (il famoso “fattore di Arcore”), per proteggere B.. Ovviamente, in cambio della tutela, CayMan paga una quota annua alla Mafia. Mangano rimane ad Arcore dal 1973 al 1975. A differenza di quanto ci raccontano Dell'Utri E B., il Fattore non era un eroe, ma un personaggio che Borsellino nel 1992, considererà una “testa di ponte dell'organizzazione mafiosa nel nord Italia”. Quindi, mentre Mangano fra un tentativo di rapimento (quello ai danni dell'amico di B., Luigi D'Angerio) e un attentato (due ai danni della villa del Cavaliere in via Rovani; uno nel 1975 e uno nel 1986), a scopo estorsivo, garantisce la protezione di Cosa Nostra al Caimano, i magistrati e i pm, suoi grandi nemici di sempre, rischiano la vita sotto i colpi delle Br e delle cosche mafiose. Ed ovviamente B. non denuncia né gli attentati né il tentativo di rapimento alle Forze dell'Ordine; anzi confessa telefonicamente a Dell'Utri, che, se ce ne fosse bisogno, sarebbe disposto a versare anche 10 milioni a Mangano. Infine arriviamo alla “discesa in campo”: stando alle parole del pentito Nino Giuffrè, nel 1993 Provenzano scarica il progetto del partito secessionista Sicilia Libera, per appoggiare il nuovo partito Forza Italia, fondato da Dell'Utri e B.. Sempre secondo Giuffrè, il boss, rivolgendosi ai suoi, dirà: “Con Dell'Utri siamo in buone mani”. Di lì in poi la Mafia si metterà a lavorare per Forza Italia, il partito del futuro statista BERLUSCONI “STATISTA” Dopo aver analizzato i rapporti tra il B. imprenditore e Cosa nostra, passiamo ad analizzare le liaison dangereuse tra quest'ultima e i suoi governi. Perché, non ce lo scordiamo, Pietro Grasso ha elogiato anche l'operato dei suoi esecutivi. Appena arrivato al governo B. spinge per far approvare il cosiddetto Decreto Biondi (che prende il nome dell'allora ministro della Giustizia Alfredo Biondi). Il Decreto è diviso in 4 parti: segretazione e modifica dell'avviso di garanzia; libero accesso al registro degli indagati a tutti coloro che ne facciano richiesta; aumento dei casi per i quali gli imputati possono chiedere il rito abbreviato; cambio della custodia cautelare, specificando i reati per i quali è obbligatoria, facoltativa (a discrezione del giudice) e vietata. Proprio questo quarto punto è importantissimo per la nostra analisi. Infatti, il Decreto Biondi, oltre a salvare dalla galera i colletti bianchi, i corrotti, i corruttori di Tangentopoli (vietando per loro la custodia cautelare) e gli imputati accusati di altri reati finanziari (quali concussione, falso in bilancio, abuso d'ufficio e molti altri), rende la custodia cautelare facoltativa (ossia a discrezione del giudice) per gli imputati per mafia. Il Decreto non viene convertito in legge e bocciato dalla Camera, ma rimane in vigore per sette giorni e comporta la scarcerazione di 2764 imputati. Cancellato il Decreto Biondi, il governo Berlusconi I tenta, come vedremo tra poco, di far approvare un disegno di legge ben peggiore di questo. Il ddl in questione è fortemente voluto da Cosa Nostra, come raccontato dal pentito Salvatore Cucuzza. Il collaboratore di giustizia dice che un obiettivo della Mafia sarebbe stata raggiunto se il Decreto Biondi fosse diventato legge: la modifica della custodia cautelare, resa facoltativa per i reati di mafia. L'altra pretesa di Cosa Nostra era l'“ammorbidimento” del carcere duro (41 bis) e uno sbarramento degli arresti per il 416 bis. Tutto questo, sempre secondo Cucuzza, è stato garantito da Dell'Utri a Vittorio Mangano, in un incontro avvenuto sul Lago di Como prima del Natale 1994. Il cofondatore di Forza Italia avrebbe rassicurato l'ex fattore di Arcore, che nel gennaio 1995 il disegno sarebbe diventato legge. Ma il governo cade e i piani di B. e Cosa Nostra paiono essere compromessi. A questo punto il colpo di scena: in soccorso di B. arriva il nuovo esecutivo, il governo Dini, che recepisce gran parte dei contenuti del ddl nella riforma della Giustizia. In questa, possiamo trovare tantissime leggi ad mafiam: l'arresto per gli indagati di associazione mafiosa, fino ad allora automatico, da qui in avanti può avvenire solo se il giudice dimostra i motivi che giustificano la custodia cautelare; viene cancellato l'arresto in flagrante per false informazioni davanti ai pm (il cosiddetto 371 bis, legge voluta fortemente da Giovanni Falcone ed approvata dopo la strage di via D'Amelio, nella quale morirono Borsellino e gli uomini della sua scorta); vengono accorciati i tempi massimi della custodia cautelare e viene modificata la regolamentazione sull'inquinamento probatorio e sul pericolo di fuga: praticamente diviene quasi impossibile, per legge, mandare in carcere preventivo gli indagati (tra cui anche quelli per mafia). Nel 2001 nasce il governo Berlusconi II. Arrivato a Palazzo Chigi, il Caimano, riesce a far approvare una legge ad personam, ad personas e ad mafiam. La norma giuridica in questione è quella che, nei processi, considera inutilizzabili le rogatorie internazionali che non hanno particolare caratteristiche (praticamente quasi tutte). Il provvedimento è retroattivo, e se applicato, salverebbe B. dal processo Sme-Ariosto (nel quale il Cavaliere è imputato per aver corrotto dei giudici tramite i suoi legali) e moltissimi imputati, tra cui quelli per mafia. Per fortuna i Tribunali e la Cassazione fanno prevalere alla legge ordinaria nazionale, i trattati e le consuetudini internazionali; nonostante le proteste di B. e dei suoi servi (che praticamente criticano i giudici che non fanno altro che considerare la gerarchia delle fonti), la legge non trova applicazione pratica. Ma il Cavaliere ci ha provato e per poco non ha fatto felice anche Cosa Nostra. Disattesi gli effetti sperati dalla legge sulle rogatorie, B. fa approvare un'altra legge vergogna: la cancellazione del falso in bilancio. La norma è ad personam perché è in corso un processo, nel quale il Caimano è accusato proprio di aver commesso il reato da lui cancellato; ad personas perché se ne avvantaggiano in moltissimi. E fra questi moltissimi ci sono i mafiosi, che grazie alla depenalizzazione del falso in bilancio riescono a ripulire il denaro sporco ed a creare fondi neri senza tante rotture. Nel 2002 viene modificata la regolamentazione sul 41 bis (carcere duro). Le precedenti leggi affermavano che il regime di 41 bis decadesse dopo tre anni, dopodiché i ministri della Giustizia dovevano decidere se rinnovarlo (prorogandolo) o no, ogni sei mesi. La nuova regolamentazione prevede che il carcere duro rimanga un atto amministrativo, ma che diventi stabile (ossia non necessiti del rinnovo ogni sei mesi). La legge, che avrebbe dovuto stabilizzare il carcere duro, crea però gli effetti contrari: in un solo anno, 72 boss riescono ad uscire dal regime di 41-bis, sfruttando una contrastante e complessa interpretazione della norma giuridica. Nel 2004 Gian Carlo Caselli, ex Procuratore generale di Palermo ed attuale Procuratore generale di Torino, si candida per ricoprire l'incarico di procuratore nazionale antimafia al posto dell'uscente Pier Luigi Vigna. Caselli, celeberrimo per aver processato Andreotti, Dell'Utri, Mannino e Carnevale (e molti altri), non è ben visto da Cosa Nostra e quindi (ovviamente) neanche dalla Casa delle Libertà. Allora il governo Berlusconi II inizia asfornare leggi anti-personam per impedire al magistrato torinese di diventare procuratore nazionale antimafia. Imponendo limiti d'età e periodi minimi di permanenza, B. & Co riescono, dopo tre leggi anti-Caselli, a far vincere “per abbandono” l'altro candidato: Pietro Grasso. Nel 2007 la Corte Costituzionale dichiarerà incostituzionali le leggi anti-personam, ma ormai le jeux sont fait. Ecco spiegato perché Grasso lecca il Cavaliere Nel 2005 arriva il momento di un'altra legge vergogna: la ex Cirielli. Con questa i tempi di prescrizione si dimezzano per gli imputati incensurati (o pluriprescritti) e accusati di reati punibili con pene massime dai 5 ai 10 anni. La ex Cirielli, oltre a Lui (in prims), avvantaggia moltissimi colletti bianchi, utilizzati dalla mafia per le sue malefatte. Perché le cosche senza i colletti bianchi non esisterebbero. Nel 2008, dopo due anni e mezzo di governo Prodi II (anche questo non entrerà nella storia per la lotta alla mafia. Anzi...), B. torna a palazzo Chigi. Nell'aprile del 2009, ad un anno dal suo insediamento, il nuovo governo Berlusconi vara, tramite decreto legge, lo scudo fiscale. Durante l'iter di conversione in legge, viene aggiunto un emendamento al decreto, che toglie l'obbligatorietà per le banche di segnalare all'antiriciclaggio le operazioni considerate sospette, e grazia gli imputati cui sono contestati reati assimilabili all'esportazione di capitali. È una sorta di amnistia, che per essere approvata non comporta la maggioranza qualificata. Ad ottobre, lo scudo fiscale diventa legge. Praticamente, grazie a questo, chi ha accumulato all'estero capitali non dichiarati (e quindi non tassati), può farli rientrare depositandoli in una banca, che agisce da intermediario tra lo “scudato” e lo Stato. Pagando una tassuccia, all'evasore viene garantita la segretezza. Lo scudo però non tutela solo chi ha esportato capitali, ma anche chi ha accumulato fondi attraverso operazioni illecite (per esempio facendosi pagare il pizzo o trafficando armi): basta che un mafioso, o un malavitoso, si rechi in banca a depositare una somma di denaro, anche se questa non è mai uscita dall'Italia, e i soldi magicamente si puliscono. È un sistema di riciclaggio legalizzato. I boss mafiosi, per l'ennesima volta, ringraziano. Dopo lo scudo il governo Berlusconi approva una normativa che rende più difficile la confisca dei beni di proprietà mafiosa e nella finanziaria del 2010 (approvata a fine 2009) consente la vendita all'asta degli immobili confiscati. La metà dei ricavi confluirà nei fondi del ministero degli Interni, l'altra metà in quelli del ministero della Giustizia. Ovviamente, i beni vengono riacquistati dai boss tramite prestanomi. Praticamente lo Stato vende (a prezzi modici) ai mafiosi, gli immobili confiscati con tanta fatica dall'antimafia. Lo Statista merita il premio? Allora chi combatte davvero le mafie cosa merita? Il trono dell'universo? È un po' come se il capo della Polizia chiedesse un premio per Vallanzasca. Comunque, leggendo le cronache parlamentari e governative degli ultimi venti anni, oltre alle malefatte di B., c'è un'altra cosa che deve far preoccupare: lo Stato, tramite i vari governi, ha cercato di venire incontro a quasi tutte le richieste (dodici) del Papello di Riina. Alcune volte c'è riuscito, altre no, ma ci ha provato. Segno che la Trattativa Stato-Mafia non solo è esistita, ma non si è mai fermata. Continuando su questa strada, con questi uomini, anziché avere Grasso col vuoto, fra qualche anno, avremo le carceri vuote e la mafia a piede libero. di Simone Ferrali
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