È un’emozione vera, improvvisa, devastante, indispensabile. È l’assoluta necessità di sentire quella voce anche per un solo istante. Anche per un semplice ciao. È il calore sulla pelle, il profumo delle labbra. È quel desiderio che tiene svegli nella notte. Che fa compagnia dall’alba al tramonto. È il martirio dell’attesa. È il bisogno assoluto di un sussurro, di un abbraccio. Di mani che si stringono, occhi che brillano, bocche che si cercano. È l’ansia che chiude lo stomaco, secca la gola, incendia la gelosia. L’unica capace di annientare l’egoismo, cancellare la razionalità. È l’eterna insoddisfazione, quella che non si accontenta di una carezza e non si esaurisce nei baci. È la cicatrice indelebile sul volto, l’immagine dell’infelicità, della malinconia, del ricordo e della speranza. Perché solo chi l’ha perso non ha altro scopo nella vita che ritrovare quel sentimento.
“Gray” è il terzo libro di Francesco Falconi che finisce nelle mie mani e lo aspettavo con la calma reverenziale di chi ama e venera “Il Ritratto di Dorian Gray” e Oscar Wilde tutto. Pensavo che sarebbe stato impossibile vivere all’altezza delle aspettative, alte, altissime, e invece, Francesco Falconi mi ha stupita di nuovo. Perché invece di mantenerle, le aspettative, le ha sconvolte, settandone di nuove e creando un romanzo di una bellezza impressionante e quasi pauroso nella sua ostica verità. Da leggere, rileggere e innamorarsene un po’ di più ogni volta.
Dorian osserva l’Anima Nera strisciare sulla sua pelle come un tatuaggio, avvolgersi alla spalla e raggiungere la sua schiena. È il serpente oscuro che l’ha condannato a un inferno in terra: l’immortalità. Cent’anni prima, di fronte a un ritratto che esaltava la sua bellezza, Dorian ha osato desiderare di rimanere giovane e seducente per sempre: il suo desiderio è stato esaudito, ma il prezzo da pagare è un baratro infinito di estasi e perdizione. Layla è tormentata da un demone che le toglie il respiro, la ragione e la volontà. È prigioniera di un corpo che sente disarmonico e deforme. Il suo rifugio è l’arte, e quel ritratto di ragazzo che da sempre disegna con precisione maniacale, occhi di ghiaccio e corpo perfetto, pur non avendolo mai conosciuto. In una Roma incantevole e superba, Dorian e Layla stanno per incontrarsi e i loro destini si allineano come tessere del domino in attesa di essere sfiorate.
Quando si inizia una storia del genere il lettore deve essere preparato a qualsiasi cosa, anche ad affrontare il viaggio in una realtà distorta, parziale o fuori dall’ordinario.
Definire è limitare. Sono i dettagli che imprigionano l’immaginazione. L’illusione è il complemento del desiderio inespresso.
Niente di quello che scrive Falconi è lineare o semplice. Ogni cosa diventa un di più necessario alla comprensione, ogni evento abilmente incastonato in una trama che si regge su un presupposto e si evolve per vie insolite, inarrivabili, da decadentismo di nuova specie, come lo stesso scrittore toscano ha affermato in una intervista. La lettura allora diventa una nuova esperienza estetica, atta a sottolineare la ricerca ossessiva di una verità, la risposta a una domanda che diventa via di salvezza. Non c’è tuttavia redenzione o ottimismo spiccio, come sempre nei libri di Falconi, i finali sono imprevedibili come acquazzoni estivi che si affastellano su un castello mirabilmente costruito. Allora l’uso della terza persona che aiuta nei passaggi di prospettiva e di punto di vista è l’arma vincente per dare la dimensione del tutto, per non fermarsi alla sola dinamica di Gray. Falconi non adatta, non riscrive, usa un personaggio e inventa una nuova storia.
Il Dorian di Falconi è affiancato da una coprotagonista femminile, Layla che aggiunge spessore ad una storia eccentrica e mirabile. La contrapposizione dei due personaggi si anima, e i due finiscono per diventare le due facce di una stessa moneta. Il bello e il culto del bello, l’ossessione per la bellezza fisica e il ribrezzo del proprio corpo, il soggetto e il ritrattista… un contatto casuale che diventa quasi una sorta di simbiosi. Sarebbe scontato sperare in una semplice unione. Se Gray ha vissuto appieno il vizio per più di un secolo, Layla è una ragazza di vent’anni preda del ribrezzo per sé stessa, incapace di vivere appieno le esperienze di una gioventù esaltata e libera, che mi incontra nei club affollati, accerchiata da ubriachi sudaticci e addormentati, desiderosi solo di dimenticare le proprie sventure abbandonandosi a gaudiosi sentimenti. Ma Layla è una ragazza studiosa, seria, responsabile, che si è rifugiata nel disegno per nascondere agli altri, ma soprattutto a sé stessa, la sua incapacità di essere una cittadina del proprio tempo. L’unico in grado di arrivare a lei è Giacomo, suo fratello, che prova per lei un amore viscerale e totalizzante che mal si adegua a quello tra fratelli. In una contrapposizione di dubbi e incertezze Layla incontra Dorian, all’Eternity, che farà da fulcro a tutta la colonna portante della trama e ne resta affascinata, incantata, stregata, perché ha il volto che lei continua ossessivamente a ritrarre, il suo Charming Prince. Interessante come Falconi scelga di chiamarlo così, in italiano è stato tradotto sempre come Principe Azzurro, ma la parola inglese Charming significa: affascinante, piacevole, incantevole, avvincente, seducente. Parole, queste ultime, che ben si possono applicare al Dorian che si approccia alla ragazza. Dorian è sempre stato affascinato dall’eterna giovinezza, dalla sconfitta della morte e voleva trovare il modo di mantenere la sua bellezza, l’unico elemento di forza che credeva di avere.
Il prezzo da pagare per penetrare l’opacità e arrestare il precipizio verso la decadenza della morte è l’incorruttibilità della maschera. È la dedizione eterna della bugia.
E allora proprio “l’incorruttibilità della maschera” è il movente che gli fa promettere qualunque cosa, pur di non lasciarsi sopraffare dal tempo che passa. Tutto diviene un lento contraccolpo di una pena che non sfugge, la sua solitudine che lo porta si a viaggiare ma lo rinchiude in un mare d’odio e di desiderio di vendetta che lo consuma. Dorian non è un personaggio positivo, è contraddittorio, pieno di negatività e di certo si lascia consumare dal peso delle sue azioni passate, da quegli atti che gli sono costati molto, tutto, anche sé stesso. Layla, che dapprima è solo un gioco diventa a poco a poco l’unico modo per attraversare sé stesso e arrivare al cuore di tutto.
Uno degli aspetti che più mi hanno impressionato della storia è stato il ruolo, fondamentale, dell’arte. I ritratti che si moltiplicano, le fotografie di Giacomo, i disegni di Layla, le visite in giro per Roma, il ricorrere all’arte per sedare, modificare e in definitiva vivere.
L’arte annienta la distruzione del tempo, è l’immortalità dell’immaginazione, del sentimento, del piacere. Questo è il motivo per cui la amo.
In un connubio che non si spezza, ma si rinnova ogni volta per creare qualcosa di magico.
Dorian viaggia per l’Italia, per l’Europa e per il mondo per mettere a segno le sue follie, ma è a Roma che si consuma la storia tra lui e Layla, è nella città eterna che in un qualche modo ci si mette a confronto con le proprie debolezze e con i propri demoni, con l’Anima Nera. Roma con la sua anima multicolore e profondamente sacra, antica, misteriosa, eterna appunto.
Il particolare da non dimenticare? Una rosa nera…
Un libro affascinante, a tratti inquietante, che non lascia la presa sul lettore, che viene spinto a leggere, leggere e leggere mentre viene trascinato in una storia oscura, che invita alla riflessione senza essere banalmente moralista. Falconi indaga ma lascia solo domande, mai risposte. “Gray” è il libro che vorresti avere cartaceo per abbracciare a fine lettura quando ti arrovelli sul finale, è il libro su cui continui a riflettere aggiungendo particolari che avevi dimenticato. Non è un libro facile da accettare, ma è una storia ricca, avvolgente e meravigliosamente decadente, che non perdona, ma sicuramente da leggere.
Buona lettura guys!