Nel marzo del 2014, il Fondo Monetario Internazionale dichiarava che nel 2015 la Grecia avrebbe registrato un tasso di crescita pari al 2,9. “Grecia, la crisi è finita” titolava un quotidiano nazionale. “La rivincita di Atene, il PIL migliore d’Europa” gridava un quotidiano economico facendo proprio l’entusiasmo che traspariva dal World Economic Outlook del FMI. Oggi gli stessi quotidiani sono costretti a scrivere di situazione drammatica e di rischio contagio.
La Grecia è un paese di 11 milioni di abitanti e con un PIL 2014 pari a circa 180 miliardi di euro e un debito di 315. Tanto per fare un paragone, la sola regione Lombardia ha un prodotto interno lordo pari a circa 300 miliardi di euro (dati Eurostat). Fino al 2006, PIL e debito pubblico greco erano pressochè equivalenti attestandosi attorno ai 195 miliardi di euro. Oggi il debito è il 175% del PIL. Tutta colpa della crisi economica mondiale quindi?
No. Il PIL greco è in realtà salito anche durante il biennio 2007-2008 e nel 2011 era pari a 208 miliardi di euro. Il problema sta semmai nell’approccio keynesiano, permettetemi l’uso eufemistico del termine, del governo ellenico. La spesa pubblica, in larga parte improduttiva e legata a pensioni, pubblica amministrazione e corruzione, ha portato quello stesso anno ad un debito pubblico di 355 miliardi di euro. Neanche l’Italia è riuscita a far peggio in termini percentuali. Tutta colpa dei greci quindi se ora l’Europa rischia nelle sue stesse fondamenta economiche? Un altro no, a mio parere.
Nel 2010, con la crisi del credito che ha colpito i paesi più fragili, Italia compresa, un intervento di “salvataggio” sulla Grecia poteva essere condotto con un investimento stimabile in un intorno di 30 miliardi di euro. Il tutto condotto dalla BCE in tempi rapidi, con tranche di prestito erogate a fronte di garanzie e impegni da parte del governo ellenico: riduzione del 10% del personale della pubblica amministrazione, taglio delle pensioni (cosa poi fatta in realtà) e lotta alla corruzione inasprendo la normativa penale sui reati di concussione e abuso nella pubblica amministrazione. Trascurando che sembra la ricetta per l’Italia, tutto questo non è avvenuto in Grecia nei tempi e modi che sarebbero stati auspicabili.
Sappiamo tutti come è andata: lotte politiche tra paesi europei, enorme ritardo, oltre 220 miliardi prestati alla Grecia, commissariamento di fatto del Paese. Tutto questo ha reso la Grecia un’arma. L’inettitudine della politica, o della non-politica se si preferisce, sia locale che comunitaria ha trasformato il paese in una minaccia economica, e quindi sociale, per se stesso e per altri paesi europei.
Ora il nuovo governo, populista in campagna elettorale ma probabilmente assai più realista nei prossimi passi di politica economica, annuncia la volontà di non ripagare il debito accumulato. Conseguenza, i mercati puniscono immediatamente la Grecia, facendo segnare crolli verticali ai listini e seminando panico. Quindi Tsipras è un folle e porterà il paese a fondo? Il mio terzo no. La priorità di Tsipras, al di là degli annunci sulla salvaguardia della dignità del popolo ellenico in nome della sua storia, è quella di affrontare una crisi che è umanitaria ancor prima che economica.
Il governo, e soprattutto il nuovo ministro delle finanze Yanis Varoufakis, sanno bene che l’unica speranza sarà rinegoziare i termini del piano di salvataggio. Anche assumendo una crescita del PIL ai ritmi della Cina degli ultimi 5 anni e ipotizzando di destinare il 10% del prodotto interno lordo per ripagare il debito con l’Europa, entrambe le ipotesi assai estreme stante la pochezza del tessuto industriale del paese, la Grecia impiegherebbe 12-15 anni per uscire dal commissariamento e ritrovare la piena sovranità. Uno scenario semplicemente impossibile.
Il governo Greco quindi deve negoziare con l’Europa, condividere un piano di riforme rigorose, su tutte la ristrutturazione del sistema bancario che è al collasso e prepararsi ad un calo del reddito pro- capite che la porterà nei prossimi dieci anni ad allinearsi con altri paesi dell’Europa orientale come Ungheria, Lettonia e l’attuale Russia. L’Europa dal canto suo deve riflettere sui propri errori e sul significato della sua stessa esistenza.
Una nota a margine. Il resto del mondo, quello finanziario intendo, non si cura granchè della Grecia e segna i massimi di tutti i tempi.
di Gian Paolo Bazzani, Amministratore Delegato di Saxo Bank Italia