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Green washing e colonizzazione nell’era del fast food

Creato il 09 maggio 2010 da Socialmediares

Anche McDonald’s entra nel circuito del green washing.

La catena di fast food più famosa al mondo e più bersagliata dalla critica per la qualità dei suoi pasti e lo sfruttamento delle risorse ambientali, ha visto probabilmente un declino di popolarità e ha deciso di ripulirsi l’immagine. In che modo?Tingendosi di..verde ovviamente!

Green washing e colonizzazione nell’era del fast food

Certo non basta cambiare il logo per potersi dire ecologici, ma in fatto di marketing la multinazionale sa il fatto suo. La catena McDonald’s sta riuscendo a sfruttare a proprio vantaggio una crisi mondiale per risollevare le sorti economiche della propria azienda. Di fatto, il 14 luglio 2009 è stato aperto in Nord Carolina, a Cary, il primo fast food “green”, dotato di torrette per ricaricare auto elettriche, un design d’interni che permette di illuminare il “ristorante” con luce solare, e di materiali ecologici e riciclati come il bamboo ecc.

Green washing e colonizzazione nell’era del fast food

Green washing e colonizzazione nell’era del fast food

In Inghilterra, la filiale di McDonald’s ha iniziato a convertire il sistema di alimentazione della sua flotta di 155 furgoni utilizzando come carburante l’olio da cucina riciclato. L’85% dell’olio proviene dai 900 ristoranti McDonald’s e il rimanente 15% dai semi di colza. Il piano di “big mac” punta a produrre un risparmio energetico di 1.675 tonnellate di anidride carbonica.

Certo Greenpeace non sarà soddisfatta di questo restyling da parte della multinazionale che definisce McAmazon, per il suo ruolo nella distruzione delle foreste pluviali in Amazzonia.

Grazie a immagini satellitari, ricognizioni aeree, documenti governativi inediti e monitoraggio sul campo, l’organizzazione ambientalista internazionale ha pubblicato un rapporto che rivela il percorso della soia dalle foreste pluviali alla famosa catena di hamburger americana e ai supermercati europei. Il sistema di produzione della soia è un sistema oligopolistico, controllato da poche grandi aziende come la Cargill, la Bunge e la Archer Daniels Midland, le quali sostengono la distruzione della foresta pluviale amazzonica per produrre mangimi animali. Addirittura Bunge ha costruito illegalmente un porto in Amazzonia per l’esportazione della soia, grazie al sostegno di latifondisti senza scrupoli, che si impossessano di aree di foresta pubblica e di terre indigene. Inoltre, secondo il rapporto di Greenpeace, la monocoltura della soia produce un grave impatto chimico, oltre alla diffusione di specie transgeniche in uno degli ecosistemi naturali più ricchi del pianeta. Greenpeace accusa pubblicamente McDonald’s di essere responsabile della distruzione della foresta amazzonica. Dichiara infatti Gavin Edwards, responsabile Campagna Foreste di Greenpeace: “McDonald’s sta distruggendo l’Amazzonia per vendere carne a basso prezzo. Ogni volta che qualcuno mangia un Chicken McNugget potrebbe mordere un pezzetto di Amazzonia. Supermercati e giganti della ristorazione, come Mc Donald’s, devono assicurarsi che i rispettivi prodotti non siano coinvolti nella distruzione della foresta amazzonica e nelle violazioni dei diritti umani”.

In Brasile, ad esempio, si registra il più alto tasso di deforestazione e incendi. Nello stato del Mato Grosso, il governatore Blairo Maggi, non a caso, è conosciuto come “il re della soia”! La sua azienda di coltivazione intensiva di soia controlla gran parte della produzione dello stato e, dall’anno della sua elezione, nel 2002, la distruzione della foresta in Mato Grosso è cresciuta del 30 %.

Siamo proprio sicuri che un hamburger valga tanto?

Oltre alla facciata verde, sarebbe bene che McDonald’s badasse un po’ di più alla sostenibilità dei suoi prodotti.

Laura Bocchiddi



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