GreenArt: le prime sei tappe

Creato il 09 aprile 2014 da Kia

Per la rubrica GreenArt ecco le prime sei mostre entrate a far parte di me, delle mie riflessioni e dei miei pensieri…

(che non vogliono essere recensioni…ma solo uno sguardo stupito sull’arte e l’espressività!)

La prima mostra che ho visitato è stata in Triennale  ”Quarantanni d’artecontemporanea. Massimo Minini 1973-2013” (19 Novembre 2013. 2 Febbraio 2014), una mostra della quale sapevo poco o nulla e che mi ha fatto sorridere, sbarrare gli occhi, inclinare la testa e sognare. Un’esposizione dove l’enorme vivacità di rapporti tra artisti, che per definizione sono eccentrici, ed un gallerista come Minini stringato e a modo ma che per dogma lo è pure lui, ha riecheggiato lungo tutto il percorso…

“Il  fotografo Nino Migliori dice che Minini è dotato di una grande sensibilità, lo definisce ‘ un poeta  della parola’ che sa ascoltare gli altri e osservare il mondo nel suo incessante divenire.”

costruzioni, quadri, fotografie, esperimenti di materia…in quella mostra sono riuscita ad assaporare ogni lato dell’arte contemporanea (e vi assicuro che per essere la mia prima volta non poteva davvero andare meglio!) cosa ho amato? gli specchietti esplicativi delle opere scritti da Minini stesso, ognuno rifacente ad  un aneddoto tra lui e l’artista che mi hanno fatto sorridere (e talvolta ridere!) mentre ammiravo e mi stupido di fronte ad opere che mai mi sarei aspettata di vedere.

Mi sono innamorata delle fotografie di Francesca Woodman e di Beauty di Nedko Solakov.

Mi sono ricordata che l’arte è fatta di persone, di passioni e di esperienze che legano la vita e le creazioni stesse. L’arte concepita da una mente brillante sarà meravigliosa ma un’opera fatta da un cuore brillante sarà superlativa.

“…una grande mostra per festeggiare quarant’anni di attività della Galleria Minini. La mostra è costituita da opere passate dalla Galleria Minini, un vero e proprio spaccato di storia dell’arte contemporanea raccontata da un punto di vista speciale, talvolta ironico e  dissacrante dall’attore protagonista. Una storia con molti flash back, in cui Massimo Minini cerca di legare, giustificare e raccontare i vari momenti e passaggi con quella modalità tipica che ha trovato una peculiare forma letteraria nei “Pizzini”, diventati un libro di successo con brevi favole, flash, racconti sugli artisti incontrati in questi anni”

Design. La sindrome dell’influenza” (6 Aprile 2013. 23 Febbraio 2014)

Anche questo è stato un primo incontro, quello con il ‘design’, al “Triennale Design Museum” il primo in Italia di questo genere oltre che essere l’unico studiato per essere “dinamico” perché costantemente rinnovato.

Il design da me sempre considerata mera applicazione artistica all’industria… errore enorme! ho imparato quanto sia innanzitutto ricerca, espressione e piacere: del fare, dello sperimentare, dell’applicare.

Il godere di quel che la nostra mente crea applicato ai bisogni della nostra vita quotidiana…ed allora l’esposizione di Alessi d’improvviso mi è sembrata un richiamo all’infanzia, quella in cui si osservava il mondo con occhi diversi da quelli che ci mostrano la vita ora… un modo nuovo in cui ho amato i giochi funambolici e di tensione, sedie e sgabelli in cui si poteva sentire l’aria reggere il nostro peso e piccoli scrigni in cui uno dopo l’altro si potevano osservare catalogate fotografie ed immagini di progetti d’arte -e di design- come a ricreare una minuscola biblioteca itinerante.

Mi sono innamorata del muschio svedese e dei trenini elettrici.

Ho capito che non è un oggetto a diventare obsoleto ma è la persona che non lo ritiene più all’altezza: il consumismo si basa su questo e così quale miglior attrattiva può avere l’industria se non quella di proporre la novità. Il design però non è questa novità in senso stretto, il design è studio, pensiero, applicazione e ricerca che evolve gli strumenti verso una continua ricerca migliorativa.

“Un’attitudine propria del design italiano è la capacità di assimilazione, la curiosità e il desiderio di confrontarsi con altri linguaggi e altre culture per avviare nuovi progetti e nuove elaborazioni. Per restituire la complessità di questo fenomeno, la sesta edizione del museo è organizzata in tre parti, corrispondenti a tre zone del percorso espositivo e a tre momenti della vicenda narrata dal dopoguerra a oggi attraverso un racconto corale e polifonico.”

E’ stata la volta della mostra di Micol Assaël ”ILIOKATAKINIOMUMASTILOPSARODIMAKOPIOTITA” all’Hangar Bicocca (dal 31.01 al 04.05.2014)

Quando ho saputo che avrei visitato la sua mostra ero tesa: sì sì, tesa.

Mi sono anche documentata un bel po’… ma di lei ho amato la sua durezza, la sua chiarezza, la sua fragilità al tempo stesso ed il suo modo diretto di far provare emozioni, sensazioni, timore, freddo, anossia… mi è sembrato di venir catapultata come ‘Alice’ in tanti mondi diversi, tutti con suoni stridenti però…anche quello più naturale possibile, dal profumo di resina degli alberi circondato dal suono delle api, risultava essere in fondo, qualcosa di fortemente anomalo, qualcosa da cui corpo e mente all’unisono mi suggerivano “esci!”

Ho capito che il forte impatto delle nostre emozioni guida le nostre sensazioni, i nostri comportamenti… ho riflettuto sull’importanza di ascoltare il nostro corpo, perché spesso lui ne sa più di noi.

“…il suono comincia fin da titolo, una sorta di “scioglilingua musicale” che accorpa diversi termini greci, associati intenzionalmente dall’artista senza alcun significato, proprio per escludere qualsiasi chiave di lettura prestabilita.
Il suono, infatti, è l’elemento unificatore che tiene insieme le cinque opere realizzate da Micol Assaël nello Shed di HangarBicocca. Cinque ambienti, quasi micro elementi abitativi, con i quali i visitatori sono invitati a sintonizzarsi empaticamente per scoprirne i dettagli nascosti: in questo senso la dimensione dell’ascolto fisico e soprattutto mentale è centrale nella ricerca dell’artista.”

Mi sono innamorata dell’ossigeno, dell’aria di montagna e del sole sul viso che lì, soggetti completamente assenti, mi sono mancati più di qualunque altra cosa.

Quindi “Warhol” a Palazzo Reale (24 ottobre 2013-9marzo 2014)

Devo ammetterlo, cosa c’è di meno POP della sensibilità ambientale? la cultura popular crea consumismo, crea bisogni che non esistono e la pubblicità, il marketing e le forme di comunicazione legate al prodotto sono terreno fertile per la nascita dell’inutile: ma io di Warhol ho amato il sogno, il suo desiderare di essere qualcosa di diverso costantemente, il suo essere irriverente con naturalezza… le sue “Silver clouds”, la sua idea di arte intesa come “adatta a tutti”, la sua chiarezza comunicativa, la sua passione per i fiori “…noto sempre i fiori 3 volte, è sempre meglio di una!” e poi le sue citazioni (e la musica!) che aleggiavano incessanti sull’intera mostra “…Ogni cosa ha la sua bellezza ma non tutti la vedono”, “…non ti preoccupare non cè niente che riguarda l’arte che uno non possa capire!”

ho capito che spesso essere diversi non è così difficile, basta esserlo senza pensarci troppo… perchè se lo sei non devi pensarci su!

“…artista Americano padre della Pop Art, raccolto non da un semplice collezionista, ma da un personaggio, Peter Brant, intimo amico di Warhol con il quale ha condiviso gli anni artisticamente e culturalmente più vivaci della New York degli anno ’60 e ’70. … presenta oltre 150 opere, tele, fotografie, sculture che fanno parte della Brant Foundation e raccontano una storia intensa ed uno scambio culturale unico fra il giovane collezionista e l’artista”

Mi sono innamorata della volubilità di pensiero, della leggerezza d’animo e dei sorrisi…e poi ho detestato ancor di più la CocaCola!

Poi il mio tour ha toccato “Il museo del ’900 con Giuseppe Pellizza da Volpedo ed il suo Quarto Stato” (15 novembre 2013 – 9 marzo 2014)

ho visto moltissime opere ma quella che mi ha fatto correre un brivido giù per la schiena è stata ‘l’opera master’, Il Quarto Stato appunto, lì enorme di fronte a me mi ha ricordato cosa significa essere uniti da un’unico scopo comune, mi ha ricordato la difficoltà e la forza che dobbiamo metterci e mi ha ricordato quanto, benché possa non sembrare così a sguardi frettolosi, le cose in fondo da allora non siano poi così tanto diverse… la società muta ma le relazioni che la tengono imbrigliata restano eguali.  Infine mi ha ricordato quanto è bene stare uniti per raggiungere un bene comune.

“una delle opere che più hanno segnatoil XX secolo, non solo dal punto di vista artistico, ma anche sociale e della comunicazione… sottolineando nel percorso dei lavoratori il passaggio da un’età più oscura ad un tempo più felice”

Mi sono innamorata della forza e della perseveranza …e poi mi sono innamorata anche un po’ della “Cacca” di Manzoni.

Per ultima la mostra sul design italiano allestita in Triennale proprio la settimana scorsa “Il design italiano oltre le crisi – Autarchia, austerità, autoproduzione”  (4 Aprile 2014. 22 Febbraio 2015)

Che dire: il titolo mi ha chiamato come le Sirene di Ulisse… in Triennale, una mostra dove leggo “autarchia ed autoproduzione”…capite bene che non potevo non andare!

E’ stato come un viaggio nella storia italiana, tra marchi, nomi, materiali, scoperte, immagini, tempi e luoghi ormai vissuti ed una creatività che oggi ancora risulta esserci, anche se in modo diverso…quello che non ti aspetti da una mostra sul design italiano…fantastica esposizione (soprattutto per i non addetti ai lavori…cioè perfetto per tipi come me!) e specchietti esplicativi davvero azzeccati.

…e così ho scoperto che materiali di cui mi aveva sempre parlato la mia nonna sono nati a metà degli anni ’30, periodo dell’invasione dell’Etiopia, per sopperire alla mancanza di materie prime sul mercato… la nostra industria, ma ancor prima il nostro ingegno, ha inventato la bachelite, la gommapiuma, il linoleum, il raion come italianalternativa ed io ho ritrovato un vecchio amore la Lettera22 di Olivetti

“focalizza la sua attenzione sul tema dell’autosufficienza produttiva, declinato e affrontato in modo diverso in tre periodi storici cruciali: gli anni trenta, gli anni settanta e gli anni zero. L’idea alla base è che il progettare negli anni delle crisi economiche sia una condizione particolarmente favorevole allo stimolo della creatività progettuale… Gli ambienti del Triennale Design Museum sono rivisitati in maniera inedita. Per il progetto di allestimento sono stati scelti materiali che rievocano il lavoro artigianale e autoprodotto…”

Mi sono innamorata della bici in legno, del ranocchio con la corona, degli eco-vasi di Enzo Mari, della casa di Duilio Forte e dell’anello “fondoschiena”.

Alcune di queste come  ”Il design italiano oltre le crisi – Autarchia, austerità, autoproduzione“   sono ancora fruibili,  altre lo sono ma in altre città, come quella di “Warhol” che al momento è aperta al pubblico a Roma.

E a voi cosa fa innamorare?


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