Grillo e la retorica della distruzione

Creato il 18 febbraio 2013 da Dave @Davide

Beppe Grillo, il leader del MoVimento 5 Stelle, sembra tenere le redini di questa settimana finale di campagna elettorale. Da una parte la sua mancata concessione di un’intervista a Sky Tg24, originariamente prevista per il 17 febbraio, ha creato polemiche; dall’altra, la partecipazione popolare allo “Tsunami tour” nelle piazze d’Italia (qui piazza Castello a Torino) lascia pensare che il M5S possa ottenere risultati più che buoni nelle prossime elezioni politiche.

La retorica grillina – rappresentata nell’immagine sopra da una word cloud che raggruppa i termini più usati nell’ultimo mese sul blog del comico genovese – è in realtà molto semplice e semplificante: i politici sono tutti uguali e vanno “mandati a casa” e “spazzati via” perché incapaci di governare la cosa pubblica. Monti fa l’interesse di banchieri e affini, Bersani e Berlusconi sono solo due facce della stessa medaglia – il “pdmenoelle” di cui spesso parla Grillo – e la gente continua a pagare i conti di questi potenti scaldapoltrone.

Il “pericolo” della concorrenza nel suo campo d’azione principale – quello del populismo – è stato avvertito da Silvio Berlusconi, che nelle ultime ore si è prodigato a definire Grillo “un pericolo per la democrazia” e a dichiarare “in piazza dovevamo andarci noi”. Bersani si è unito in diverse occasioni a contestare il qualunquismo dell’offerta grillina, che al Pd “non piace”.

In realtà, è comprensibile che l’elettore medio possa essere invogliato a dare una chance all’ormai ex-comico: retorica nuovista, radicale, d’urgenza; ostentato posizionamento al di fuori della “casta” politica tradizionale, con conseguente distanziamento dai costi e dagli sprechi della Repubblica; toni costantemente sopra le righe, in un paese dove la moderazione sembra diventato un disvalore; carattere democratico che – almeno nei proclami – si propone di curare i mali della partitocrazia; uso della Rete.

In parte, Grillo ha ragione: destra e sinistra, negli ultimi vent’anni, hanno sostanzialmente fallito.  Lo dicono i dati economici e non soltanto. Pone problemi semplici in maniera immediata, e il pubblico apprezza. Che le soluzioni, poi, non ci siano (o ci siano a metà, declinate in farraginosi programmi e proposte inattuabili) sarà un altro problema. Innanzitutto bisogna cambiare: solo dopo si deciderà come e in che direzione.

Sulla pericolosità di un’attitudine distruttiva che fomenti la (giustificata) rabbia popolare senza proporre alternative praticabili, altri si sono espressi in maniera ineccepibile. Nel giugno dell’anno scorso Francesco Costa, parafrasando Sciascia, scrisse un articolo dal titolo “I professionisti dell’anticasta”:

In un Paese normale, specie se dopo dieci anni di crescita zero e nel mezzo della più grave crisi economica dalla Seconda guerra mondiale, sentimenti del genere produrrebbero cambiamenti politici di portata storica: nei partiti, negli enti locali, nei governi, a tutti i livelli. Alcuni in meglio e alcuni in peggio, ma questo vale sempre. In Italia qualcosa è accaduto, ma ancora poco e da troppo poco tempo. C’entra “la casta”, certo, e la sua straordinaria rendita di posizione politica, economica e mediatica. Ma c’entrano, per un pezzo più che significativo, anche uno squadrone di Guglielmo Giannini al cubo, campioni di demagogia, bravi a spararla grossa, che da anni incassano – politicamente, economicamente – i dividendi della mediocrità politica della casta, preservandola. Sono i professionisti dell’anti-casta.

Beppe Grillo a Torino.

Grillo si presenta come homo novus, ma è quanto di più vecchio il sistema (quel sistema che rifugge e addita come origine di ogni male) abbia da offrire: ne ha fatto parte per anni, attaccando furiosamente (nonché spesso a torto) senza indicare alternative concrete e percorribili. Ora che ne fa parte in pianta stabile – come uno stagista assunto a fine tirocinio – ha saputo sfruttare i suoi trascorsi da polemista per proporsi come Messia dei delusi dalla politica. La gente ci ha creduto, ci crede, ci crederà.

Andy Warhol sosteneva che le masse vogliono apparire anticonformiste, “ciò significa che l’anticonformismo deve essere prodotto per le masse”. Non mi permetto di giudicare quelle accalcate nelle piazze dei comizi di Grillo, sicuramente mosse da buona fede. Una cosa, però, rimane certa: non è con le buone intenzioni che si cambia il mondo, indipendentemente dai mezzi usati per farlo.

Il Movimento 5 Stelle trionferà – ci sono tutti i presupposti perché lo faccia, almeno – ma dovrà anche dimostrare di meritare, nell’interesse del paese, quel Parlamento da cui si è sempre orgogliosamente dichiarato diverso. Non sarà cosa da poco.

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