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Nonostante abbia i copri-occhi della KLM, la luce nella tenda è accecante ed è difficile dormire. Per di più ho un torcicollo mefitico che si attiva nell’attimo esatto in cui mi sdraio. La notte non è buona compagna. La mattina comincia con un vento freddo che ci obbliga a tenerci addosso le giacche. Il panorama è sempre uguale e sempre diverso. Gli iceberg che costeggiamo assumono le forme più diverse, spesso zoomorfe. C’è un cigno, una lepre e anche un coccodrillo. Nel primo pomeriggio arriviamo ad un ex-avamposto militare americano ora utilizzato dai cacciatori inuit. Si tratta di due baracche di legno e di una putrida discarica a cielo aperto: barattoli di latta, bottiglie, lattine, sacchetti di plastica e ossa di vari animali, principalmente foche e cani. Poco lontano c’è un villaggio inuit abbandonato. C’è un vecchio camion arrivato chissà come, un’altalena ed anche le tende alle finestre. Sembra che gli abitanti siano stati rapiti dagli extraterrestri. Piantiamo il campo poco lontano. Mentre Ben si deprime ascoltando Brel sul suo i-Phone sdraiato nella tenda, il resto della comitiva discute dei viaggi d’esplorazione al polo nord e al polo sud di cui tutti sembrano essere grandi esperti. Io guardo il mare. Il sole splende sul mare luccicante. Gli iceberg al largo sembrano immensi a causa di un effetto ottico che li fa apparire come miraggi nel deserto. La camminata resa leggera dagli zaini ormai vuoti viene complicata dalla guida François che – per evitare una salita – ci fa prendere un sentiero da stambecchi. Per un’ora abbondante saltelliamo su enormi massi di granito. Per puro miracolo nessuno si rompe una caviglia. Ci fermiamo a mangiare qualcosa di fronte ad un muro di ghiaccio che sovrasta un lago. Un’ora dopo siamo a Ittoqqortoormiit ed è quasi ritorno a casa. E’ l’ora del pranzo per i primi cani che vediamo: stanno mangiando una foca catturata di recente. Di ritorno alla civiltà Ben ed io decidiamo di prendercela comoda e prendiamo una stanza alla guesthouse invece di optare per il campo allestito fuori dal paese. La prima cosa che facciamo è comprarci delle birre e la seconda è accendere la televisione (la terza e la quarta sono una doccia e una lavatrice). Oggi iniziano le olimpiadi di Londra, per cui mangiamo le nostre cene liofilizzate seduti sul divano bevendo birra: una scena da veri uomini medi. Visto che la cerimonia d’apertura è una palla pazzesca, usciamo alla ricerca dell’unico bar del villaggio. Giriamo per un po’ di tempo, seguendo indicazioni poco chiare in lingue che non capiamo. Rinunciamo quando scopriamo che il bar è una casa dai vetri sfondati e senza insegna. Durante la ricerca incontriamo una mezza dozzina di inuit completamente sbronzi. Lo sport nazionale da queste parti è il bere, il che – unito agli incroci tra consanguinei e ad un clima non proprio clemente – genera qualche leggero squilibro psichico. Il piano per il giorno seguente (non fare assolutamente niente fino a sera) è scombussolato dall’arrivo imprevisto dei nostri compagni di sventura, accompagnati da un bell’odore di speck, postumo delle serate passate attorno al fuoco. Mentre due dei quattro si fanno la prima doccia da una settimana, vado al supermercato locale per vedere di mettere assieme un pranzo degno di tale nome. Trovo pasta Barilla e salmone, oltre ad un vero materassino autogonfiante che compro all’istante. Il mio collo e la mia schiena ringraziano emozionati. Il resto della giornata è passato a vedere badminton, nuoto, pugilato e ping pong in televisione. C’è qualcosa di ipnotico nel vedere dei completi sconosciuti competere in sport minori. Per fortuna mi trovo in Groenlandia e passerò la prossima settimana a bivaccare nella neve, sennò non mi muoverei dal divano se non per espletare funzioni fisiologiche. Verso sera Ben ed io ci muoviamo verso il campo, domani si ricomincia, ma prima bisogna dividersi il cibo, ovvero il peso. François crea dei mucchietti di provviste che dovrebbero essere dello stesso peso, ma alla fine della spartizione Ben ed io ci ritroviamo con molto meno peso che la settimana prima. In compenso lo Svizzero e Mr. Gadget sono carichi come muli. Neanche al gioco delle tre carte li avremmo potuti fregare di più. Domani ci aspetterà la sofferenza, ma per il momento c’è nell’aria solo un soffice rumore d’onda. François spiega alla truppa cos`é l’haiku, la poesia giapponese. Mi lancio in una composizione Danzano lenti Nel mare lucente i Monti di ghiaccio La partenza è ritardata dai problemi al tendine d’Achille di Stéphanie, la moglie del superaccessoriato. François si trasforma da guida in Mac Gywer e prepara una protezione per il tallone con della spugna trovata in spiaggia. Che funzioni o no sospetto che avrà delle vesciche grandi come meloni a fine giornata. Il mio zaino mi sembra leggerissimo, ma acquista peso via via che la salita si fa più ripida. In contemporanea riesco a nutrire tutte le zanzare della Groenlandia fino al 2034 e le mia braccia diventano cotechini. Mentre mi fermo per fare una doccia nello spray anti-zanzare, passano due buoi muschiati, animali dall’aria preistorica , dalle corna ricurve e il pelo lunghissimo. Ci guardano da lontano e poi continuano a camminare come se niente fosse. La salita si fa più ripida e Ben, preso da una vena poetica inattesa, si mette a produrre haiku. Le poesie parlano di crepacci e di torba. Ho paura che appena tornato a Parigi inizierà a scrivere poesie sui biglietti della metropolitana e sul Pastis. Quando la salita di neve e di roccia finalmente finisce abbiamo sotto di noi il fiordo completamente illuminato dal sole, circondato da montagne innevate. Fa così caldo che siamo tutti in maglietta. Poco lontano c’è un ghiacciaio che si tuffa in un lago: il posto ideale per montare la tenda e farci una lavata nell’acqua gelida.
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