Magazine Psicologia

Grooming. 1° parte

Da Psychomer
by Valentina Dettori on gennaio 21, 2013

Ciò che i criminologi chiamano il “campo oscuro” – ossia il numero dei reati che restano invisibili, occulti- è di per sé difficile da quantificare, ma si hanno buone ragioni di credere che assuma proporzioni vastissime, superando ampiamente quella soglia di attenzione oltre la quale il cruciale interrogativo di ogni progettazione politico – criminale – “che fare per contrastare e prevenire i reati?”- si converte, o si dovrebbe convertire, in una concentrazione primaria delle risorse verso l’obiettivo di “fare luce”, presto e bene.

Il fenomeno del sospetto abuso e maltrattamento ai danni di minori è sommerso, connesso ad un alto indice di occultamento, richiede, pertanto, l’attivazione di adeguati interventi di protezione e tutela, è difficilmente rilevabile con sufficiente certezza, necessitadi un’attenta valutazione anche delle situazioni dubbie, complesso e multiproblematico, dovendo dunque procedere attraverso una valutazione interdisciplinare congiunta con azioni idonee e tempestive.

Sono ancora pochi gli abusi all’infanzia rilevati rispetto alla totalità di quelli perpetrati: spesso e volentieri l’abuso avviene tra le mura domestiche (intrafamiliare) da parte di un genitore, un convivente, o qualcuno che dovrebbe curare, vigilare, sorvegliare il minore; un’altra tattica per avvicinare il minore è il grooming, ovvero l’adescamento on line.

L’inquadramento della pedofilia dal punto di vista criminologico chiama in causa principalmente le seguenti argomentazioni: la pedofilia è contemporaneamente una psicopatologia e un crimine, è vissuta quasi sempre in modalità egosintonica, dal momento che i pedofili non chiedono di essere curati, i pedofili attuano strategie per mantenere segreta la loro perversione, sono criminali perfettamente lucidi e hanno una scarsa visibilità sociale.

Dal punto di vista teorico, mi sembra utile riportare tre teorie circa la natura originaria della pedofilia, in termini “giustificativi”: secondo la teoria dell’abusato – abusatore i reati dell’aggressore adulto possono rappresentare in parte una ripetizione ed un riflesso di una aggressione sessuale che egli ha subito da bambino, un tentativo distorto di elaborare e dare uno sbocco a traumi sessuali precoci irrisolti; secondo quella dell’identificazione parentale gli aggressori sessuali sono con molta probabilità cresciuti in famiglie devianti, anaffettive o distoniche e tali studi affermano che statisticamente i criminali sessuali appartengono a nuclei familiari disfunzionali; infine, secondo quella di Groth la motivazione di base, che spinge l’abusatore ad agire, non è di natura sessuale, ma comporta l’espressione di bisogni non sessuali e di aspetti esistenziali non risolti (l’abuso è quindi un “atto pseudosessuale”, al servizio di bisogni non sessuali: il pedofilo, infatti, cerca un contatto fusionale totale con il minore, sia per quanto riguarda la parte fisica, sia emotiva.)

Se volessimo provare a leggere la mente dell’abusante, scopriremmo alla base una normalissima pulsione sessuale, organizzata dall’Io a livello intrapsichico e orientata in base alle fantasie del soggetto: è a questo punto che l’individuo si accorge di essere pedofilo, dal momento che le sue fantasie sessuali riguardano i bambini. Una volta consapevole del proprio orientamento sessuale il soggetto valuta i pro e i contro di un eventuale passaggio all’atto, attraverso quello che gli psicologi chiamano “processo di significazione”, ed anticipa mentalmente le conseguenze della propria azione criminale prendendo in considerazione alcuni dei fattori rilevanti nel “criminal decision making”, tra cui la paura di essere scoperto, la stima dei rischi di cattura, la paura della sanzione penale e sociale.

Al termine di questo processo, il soggetto deciderà se pianificare il passaggio all’atto vero e proprio, o mantenere il tutto solo a livello di fantasie sessuali custodite gelosamente a livello intrapsichico.

È soprattutto nel secondo caso in cui paiono evidenti le sinergie e i nessi tra pedofilia e pornografia minorile (Art. 600 ter del c.p.: “Chiunque, utilizzando minori degli anni diciotto, realizza esibizioni pornografiche o produce materiale pornografico ovvero induce minori di anni diciotto a partecipare ad esibizioni pornografiche è punito con la reclusione da sei a dodici anni e con la multa da € 25.822 a € 258.228”), utilizzata con finalità di gratificazione ed eccitamento, convalidazione e giustificazione del comportamento, seduzione, preservare la gioventù del bambino, ricatto, mezzo di scambio o profitto.

Se da un lato le reti di comunicazione ed in specie Internet hanno favorito la realizzazione di rapporti sociali, economici e giuridici tra gli internauti, dall’altro hanno permesso a soggetti malintenzionati di sfruttare le molteplici possibilità di anonimato in rete per commettere attività illecite di varia natura, tra cui anche la diffusione di materiale pedopornografico.

Il 25 ottobre 2007 a Lanzarote (Spagna) è stata sottoscritta la Convenzione del Consiglio d’Europa, con grande impatto etico, culturale e sociale poichè gli Stati aderenti si sono impegnati a modificare, quando necessario, il diritto penale nazionale, per la protezione dei bambini contro lo sfruttamento e gli abusi sessuali, oggi firmata da 42 dei 47 Stati membri del Consiglio d’Europa, tra i quali l’Italia che l’ha sottoscritta il 7 novembre 2007. Sono 10, inoltre, i Paesi che hanno anche ratificato il testo: Albania, Danimarca, Francia, Grecia, Malta, Montenegro, Olanda, San Marino, Serbia e Spagna.

Continua…


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