Se desiderate leggere un’opera “giapponese” nel senso più ampio del termine, un’opera corale, quasi il manifesto di un’epoca, di una cultura e di una società così diversa dalla nostra, senza dubbio Grotesque di Natsuo Kirino, è il romanzo che fa per voi.
La trama, che ricorda vagamente quella di un thriller, è soltanto il pretesto usato dall’autrice per attrarre l’attenzione del lettore e poi spostarla abilmente dall’esterno – dagli assassinii e dalla ricostruzione degli eventi che portano a essi – all’interno, ai caratteri dei personaggi principali e non, che vengono approfonditi fino all’esasperazione, fino a sviscerarne ogni più piccolo difetto, pregio o segreto, che viene come analizzato al microscopio dalla scrittura lucidamente descrittiva della Kirino, la quale, più che raccontare semplicemente una storia, sembra mirare a illustrare i meccanismi più profondi della mente umana che portano ad agire in una determinata maniera anziché in un’altra. In tal senso, più che una narrazione nel senso classico del termine, quella della Kirino appare una sorta di analisi scientifica dei caratteri che ci presenta, un’impietosa messa in scena degli impulsi più perversi che albergano nell’animo umano, impulsi di cui gli uomini e le donne sono consapevoli solo in parte, che non riescono a contrastare, nemmeno quando si accorgono che li condurranno alla rovina, come accade in questo romanzo.
Grotesque può essere definito un romanzo “pornografico”, laddove per pornografia non s’intende certo l’insistenza sulla descrizione degli amplessi, bensì una pornografia dell’anima, spogliata di ogni pudore, di ogni resistenza e finanche di ogni residuo di dignità. Per attuare questo dis-velamento dell’animo umano, Natsuo Kirino si serve di un espediente narrativo molto efficace, ossia un narratore interno che cambia di volta in volta e che parla in prima persona, scrivendo un diario o raccontando la storia della propria vita a un lettore immaginario.
Questo permette all’autrice di esplorare le vicende narrate da diverse angolazioni, di esplorare punti di vista inediti, rivoluzionari, a tratti scandalosi, e al lettore di essere travolto da una sorta di flusso di coscienza stordente e devastante, che lo confonde, lo intriga. Centrale, nella narrazione, è in particolar modo il confronto tra le due culture, orientale e occidentale, un raffronto continuo poiché le due protagoniste, le sorelle Mitsuro e Yuriko, sono per metà svizzere, per parte di padre, e per metà giapponesi. In loro convive ambiguamente la sintesi di queste due culture così diverse da loro, rappresentate emblematicamente dai tratti somatici che le contraddistinguono.
Si tratta di una convivenza forzata, mai accettata, che entrambe le donne, sia pur in maniera diversa, vivono come una specie di maledizione: perché essere sia occidentali che orientali per loro significa non appartenere fino in fondo né a una cultura né all’altra, e questo senso di non appartenenza è così profondamente radicato quanto più invece la società in cui vivono dimostra di considerarle delle outsider, straniere “mezzosangue”, come le chiamano a scuola, nel prestigioso liceo femminile Q che entrambe le sorelle frequentano pur senza mai nemmeno salutarsi, ossessionate come sono da un odio le cui radici si perdono nell’infanzia, un astio nato dal poco amore ricevuto dai genitori, aspramente conteso fin da piccole tramite perfide lotte senza esclusione di colpi.
È per questo che quando Yuriko – la sorella minore, dotata di una bellezza impressionante, quasi “mostruosa” per via di quei tratti misti così bene amalgamati – viene trovata uccisa nel suo appartamento, per Mitsuro, la sorella maggiore che ha fatto dell’impegno nello studio lo scopo della propria vita, pur senza mai approdare a traguardi professionali significativi, si tratta quasi di una liberazione. Poco le importa di conoscere l’identità dell’assassino, né sapere che qualche tempo dopo anche Kazue, sua compagna di scuola, viene ritrovata uccisa nella stessa identica maniera, tanto da far pensare a un assassino seriale: quello che conta, per Mitsuro, è che Yuriko non si immischierà più nella sua vita, che finalmente la sua ingombrante, eccessiva, splendida presenza smetterà di seguirla come un’ombra.
Quasi come fosse l’altra faccia della stessa medaglia, il diario di Yuriko – un diario crudo, essenziale, a tratti scandaloso – consentirà al lettore di penetrare metaforicamente l’esistenza di una donna la cui bellezza è così eccessiva, così preponderante, da trasformarsi in una vera maledizione, portandola a considerare sé stessa come un grazioso oggetto al servizio della sessualità maschile e dei capricci femminili; la carriera di prostituta – prima nei night club d’alto livello, poi nei bordelli più luridi e malfamati della città – appare la logica, inevitabile conseguenza di un modo di essere sopra le righe che non lascia scampo, una bellezza quasi “sovrannaturale” che attrae e intimorisce, divenendo l’unico elemento degno di importanza in una personalità che progressivamente si perde nei tratti del viso, nelle curve del corpo. Grotesque di Natsuo Kirino è tutto questo e molto di più, è un’opera di cui si potrebbe parlare a lungo senza tuttavia riuscire a ridurla a pochi, semplici assunti: è un romanzo in cui ognuno legge ciò che vuole, un’opera d’ampio respiro il cui fascino sta proprio nell’essere cangiante, volubile, multiforme.
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