Magazine Arte

Gualtieri di San Lazzaro, "Parigi era viva"

Creato il 07 dicembre 2011 da Milanoartexpo @MilanoArteExpo

Gualtieri di San Lazzaro: Parigi era viva. La capitale nell’arte del Ventesimo secolo – Mauro Pagliai editore, a cura di Luca Pietro NicolettiNel 1966, Gualtieri di San Lazzaro dava alle stampe le proprie memorie. È la lunga autobiografia, raccontata “in terza persona” sotto lo pseudonimo di Silvio, di un celebre editore e critico d’arte, nonché gallerista, uno spaccato della sua vita parigina vista da un’angolazione particolare, in cui le ragioni estetiche si mescolano con l’aneddoto e con la descrizione anche umana degli artisti nel loro contesto (lo studio di Kandinsky, le visite a Picasso, le conversazioni con Matisse e con Alberto Magnelli, le incomprensioni con de Chirico). Gualtieri di San Lazzaro (al secolo Giuseppe Papa, 1904 – 1974) fondò e diresse la rivista «XXe Siècle», pubblicata a Parigi a partire dal 1938, dedicando ogni numero a un diverso tema di arte contemporanea e illustrandolo con grafiche originali di maestri come Arp, Henri Laurens, Miró, Klee, Moore, Marino Marini, Magnelli, Picasso.

Edito da Garzanti nel 1948 (Premio Bagutta Opera Prima 1949) e da Mondadori nel 1966, il libro diventa oggi una preziosa testimonianza di un clima culturale e dei suoi protagonisti, raccontati da un testimone diretto e partecipe. Viene qui riproposta l’edizione modificata e accresciuta dallo stesso autore nel 1966. Si propone qui un estratto dal romanzo, con un ritratto di Ambroise Vollard, il grande mercante parigino che fece la fortuna postuma di Cézanne e quella del giovane Picasso.

Un incontro con Vollard, il mercante di Cézanne e Picasso. Da Gualtieri di San Lazzaro, Parigi era viva. La capitale nell’arte del Ventesimo secolo, Firenze, Mauro Pagliai editore, 2011, a cura di Luca Pietro Nicoletti.  http://www.mauropagliai.it/asp/sl.asp?id=5503 - © Mauro Pagliai 2011, cm 15×21, pp. 296, br., € 22,00, ISBN: 978-88-564-0166-0 , collana: Storie del mondo, 10

Gualtieri di San Lazzaro: Parigi era viva. La capitale nell’arte del Ventesimo secolo – Mauro Pagliai editore, a cura di Luca Pietro Nicoletti
Qualcuno che molto intimidiva Silvio, era Vollard. Waldemar George voleva illustrare un suo articolo su Giorgio Rouault, con uno dei tanti ritratti che l’ultimo “gotico” di Francia aveva fatto del principale. Telefonarono a Vollard, che promise di mandarglielo il giorno dopo. Il giorno dopo, venne Vollard stesso, con un quadruccio sotto il braccio. «Ma non doveva disturbarsi, signor Vollard! Sarei venuto io» balbettò Silvio.

Ma già l’altro si aggirava incuriosito per l’ufficio. Sfogliava dei libri, e di tanto in tanto, dalla sommità dei suoi due metri, sorrideva affabilmente.

Non doveva sfuggirgli la confusione di Silvio, il quale proprio in quei giorni andava leggendo i suoi libri e ora dinanzi all’uomo che aveva raccolte le confidenze di Renoir, di Cézanne, di Dégas, che aveva esortato Renoir “a fare della scultura”, e che a buon diritto passava per il patrono dell’arte contemporanea, Silvio si sentiva paurosamente intimidito. Finalmente Vollard gli si avvicinò e mettendogli una mano sulla spalla lo costrinse a sedere.

«Mon ami» disse «mi avete mostrato le vostre belle monografie. Venite un giorno da me: vi farò vedere alcuni libri in corso di stampa».

Mantenne la promessa qualche anno dopo. Non che nel frattempo Silvio l’avesse perso di vista. Anzi gli era capitato d’incontrarlo spesso, alle mostre e ai contradditori organizzati da qualche società artistica. Vollard aveva conservato l’abitudine di chiamarlo mon ami e di abbandonargli una mano sulla spalla. Le mani di Vollard erano grandi e molli, coperte di graffi felini e di lievi cicatrici lunate. «Si direbbe che Vollard senta simpatia per te» dicevano gli amici «dovresti approfittarne. Sei la sola persona con la quale l’abbiamo visto sorridere».

A uno di quei contradditori, ai quali Silvio assisteva per cosi dire dalle quinte, Vollard si addormentò. Senza essere marmoreo come Goethe, egli aveva pure qualcosa di olimpico, ma di un Olimpo barbarico. Dormiva il sonno delle statue che Schopenhauer voleva ad altezza di uomo, come nelle “piazze” di De Chirico. Svegliato bruscamente, quando fu il suo turno di parlare, non ebbe un istante d’indecisione. D’un balzo fu al tavolo degli oratori, e automaticamente recitò la sua lezioncina che anche quella volta cominciava cosi: «Cézanne mi diceva un giorno…».

Quando fu finalmente concesso a Silvio di varcare la soglia della palazzina che Vollard abitava agli Invalidi, le opere in corso di stampa non erano ancora ultimate. Da molti anni Vollard non pensava che a raccogliere in un solo volume le famose Memorie di un mercante di quadri, gli aneddoti sparsi in mille riviste e in libri precedenti. Aveva persino trascurato gli interessi dei suoi “protetti”. Giorgio Rouault fulminava contro l’orco della pittura moderna, e minacciava di costringerlo a comparire dinanzi ai tribunali, come un delinquente comune. Picasso, quando mostrava qualche superbo carton dell’epoca blu, diceva di averlo scovato da Vollard, in un infame ripostiglio, coperto di polvere e di muffa; e gli altri, Dufy, Chagall, Bonnard, non erano davvero più teneri. «Vollard» aveva confessato a Silvio la figlia di Matisse, Margherita, «molti anni fa, quando non ero che una bambina, e posavo se ben ricordo, con i miei fratelli, per La lezione di piano, doveva venire da noi. Veramente papà l’aspettava da tanto tempo. Ma questa volta egli aveva solennemente promesso di venire. Mio padre era. riuscito a fargli fissare il giorno. “Sai,” diceva la mamma, “dopo che Vollard sarà venuto, porteremo la bambina da uno specialista, questi medici di quartiere non capiscono nulla”. “Sai,” diceva ancora la mamma, “dopo che Vollard sarà venuto, bisognerà portare Pietro dal calzolaio: non possiamo quasi più mandarlo a scuola, una volta o l’altra si troverà scalzo in mezzo alla strada”. Insomma aspettavamo Vollard come si aspetta la Befana o la morte dello zio d’America. Venne finalmente il giorno tanto sospirato. Mamma si levò di buon mattino, decisa a non risparmiare la scopa e a sacrificare quei pochi danari che ci erano rimasti. Vollard non doveva avere l’impressione di trovarci nella più nera miseria, coi mercanti bisogna sempre bluffer, ma non esageratamente. Il faut avoir le bluff discret. Noi ragazzi corremmo a comperare chi il carbone per la stufa, chi i fiori per il vaso di porcellana della “desserte”, chi lo zucchero e i biscotti. “A mezzogiorno: vi contenterete di una minestrina,” ci disse la mamma “Ma stasera faremo un buon pranzetto, dopo che il signor Vollard se ne sarà andato”. Passammo una mattinata deliziosa. Dopo la minestrina prendemmo il tè, tutti attorno alla stufa, ma senza biscotti, perché i biscotti erano per il signor Vollard. Mentre papà metteva in ordine le tele, d’una parte le ‘figure’, dall’altra le ‘marine’ e in mezzo i ‘paesaggi’, noi aiutavamo la mamma far sparire dai mobili ogni traccia sospetta, e dal pavimento di legno le macchie più brutte. Poi ci sedemmo tutti attorno alla stufa ad aspettare. Ma il signor Vollard non venne. Non venne quel giorno, né il giorno dopo, né la settimana o il mese dopo. Non venne che qualche anno dopo. E per me è come se non fosse mai venuto: quest’orribile cicatrice sotto la gola ormai non me la toglie nessuno. Quante volte lo specialista non me l’ha detto: se foste venuta da me, prima che il male si aggravasse, si sarebbe potuta evitare l’operazione».

Così, quando per la prima volta Silvio varcò la soglia della palazzina degli Invalidi, Vollard non era per lui soltanto il fin lettré delle Reincarnazioni di papà Ubu, il simpatico scocciatore di Cézanne Era sempre, naturalmente, il mercante che aveva ordinato la prima “personale” di Cézanne e la prima mostra di Picasso, lo scrittore di pagine deliziose (la “visita a Zola” aveva conservato l’eterno e malizioso sorriso di un satiretto di bronzo su un caminetto di marmo); ma anche l’orco che aveva fatto tanto soffrire la piccola Margherita Matisse, e che ora tiranneggiava il buon Rouault. Ma anche se non fu sensibile, come una volta, al mon ami che lo esortava a inerpicarsi su per la scaletta ingombra nei pianerottoli, di fragili casse di quadri, Silvio si sentiva intimidito.

C’erano veramente troppe tele da Vollard, ammonticchiate sugli armadi, addossate alle lunghe pareti dei corridoi, accatastate un po’ da per tutto.

«Venite con me» disse Vollard. E l’introdusse in una stanza dove non fu possibile mettere due sedie l’una accanto all’altra, ingombra com’era di tele d’ogni dimensione. Vollard si diresse allora verso una seconda, e poi una terza e una quarta stanza ma di tutte si contentò di socchiudere un istante la porta e di richiuderla scuotendo il capo. Finalmente, con un sorriso di trionfo, e mettendogli la mano sulla spalla, lo spinse verso la sala da pranzo, la quale non conteneva forse un minor numero di tele delle stanze precedenti, ma era molto più vasta. Silvio notò subito, appesa a una parete, un’incantata “Foresta tropicale” del Douanier.

«Debbo farvi l’effetto di quei militari» disse «che come i domatori del circo hanno il petto coperto di medaglie. A una o due medaglie si può credere, ma alla terza si entra naturalmente in sospetto. Quando poi son venti o trenta, è difficile trattenere le risa. Ma forse vi parrà strano che io paragoni i miei quadri alle medaglie. Se tutto ciò che si acquista nella vita dev’essere il frutto di azioni oneste, in un’epoca come la nostra, in cui le azioni oneste sono più rare degli atti di eroismo, non avrei potuto accumulare tante tele senza mettere seriamente a rischio la mia esistenza. O sarei anch’io, come gli altri, un imbroglione. Molti pretendono infatti, sì sì, lasciatemi dire, che lo sia. So benissimo che sono in malafede. Siamo tutti in malafede. E quegli sciagurati che vanno esaltando in Hitler il campione della sincerità, sono anch’essi in malafede. E anche Hitler è in malafede. Non è sincero, nemmeno nella brutalità. Vedrete come agirà con gli ebrei, se riuscirà a prendere il potere. I poveri, nei campi di concentramento e i ricchi che secondo le sue teorie dovrebbero essere i più colpevoli li lascerà emigrare in Francia, in Inghilterra, e in America, dove potranno vivere meglio che non siano mai vissuti in Germania».

S’era lasciato cadere su una seggiola e guardava Silvio sorridendo.

- – -

Luca Pietro Nicoletti, curatore del libro
Storico dell’arte, nato il 4 febbraio 1984, ha studiato con Giovanni Agosti, Paolo Rusconi, Silvia Bignami e Antonello Negri presso l’Università degli Studi di Milano. Sta svolgendo un dottorato di ricerca sugli scambi tra Italia e Francia fra anni Cinquanta e anni Sessanta. Luca Pietro Nicolett collabora con l’Archivio dell’Arte Metafisica di Milano e con la cattedra di Storia dell’arte contemporanea dell’Università degli Studi di Milano. Nel 2006-2007 ha contribuito alla stesura del catalogo Altri quaranta dipinti antichi della collezione Alberto Saibene a cura di Giovanni Agosti. Ha scritto di pittura del Tre e del Cinquecento nell’Italia centrale e di pittura, scultura e grafica del secondo Novecento nell’Italia Settentrionale, con un particolare interesse per la produzione artistica della cosiddetta “generazione di mezzo”. Da diversi anni si occupa dell’opera dell’editore, scrittore e critico d’arte Gualtieri di San Lazzaro, al quale sta dedicando uno studio monografico, e di cui sta curando la riedizione del romanzo Parigi era viva (Mauro Pagliai Editore, Firenze 2011). Collabora con alcune gallerie private italiane (Associazione Culturale Renzo Cortina, Milano; Spazio Tadini, Milano; Galleria Scoglio di Quarto, Milano; Bludiprussia, Albisola Marina; Officina dell’arte, Rho; Arianna Sartori, Mantova) e a Parigi (Orenda Art International) e con altre istituzioni culturali (Fondazione Sandrò Passarè, Milano). Fra le mostre più significative: Dino Villani. L’opera xilografica (Milano, Fondazione Corrente, febbraio 2010); Giancarlo Cerri. Dalla figurazione all’astrazione (San Donato Milanese, Cascina Roma, 2010); Bruno Polver (Busto Arsizio, Fondazione Bandera, 2011). Suoi articoli sono comparsi su «Arte incontro in Libreria».

Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :