I Guaraní sono una popolazione autoctona del Brasile che soffre terribilmente perché sfrattata dalle terre ancestrali. Causa di questi tormenti è la deforestazione. Se questi popoli, un tempo, vivevano liberi nelle foreste e immersi nella natura, ora, allontanati dai territori in cui hanno vissuto per secoli, si ritrovano a sopravvivere in piccole riserve sovraffollate o ai margini di stradoni aperti tra i campi, in situazioni che rasentano il disumano.
I Guaraní si distribuiscono tra Brasile del sud, Paraguay orientale e Argentina del Nord. La maggior parte di essi vive in Brasile, dove formano il gruppo indigeno più numeroso. La loro storia di sottomissione e soprusi inizia con la colonizzazione spagnola: inizialmente furono catturati e sfruttati come schiavi, sorte toccata a moltissimi altri popoli, ma in un secondo tempo le loro terre furono occupate a causa della forte migrazione di coloni. I Guaraní furono quindi confinati in piccole riserve, in cui vivono ancora oggi. Questo allontanamento forzato dal loro ambiente provocò fin da subito malesseri in tutta la popolazione, sia fisici che spirituali. Con l’aumento del fabbisogno mondiale, poi, che cresce a ritmi incessanti, la situazione è nettamente peggiorata. La foresta è stata rasa al suolo, e al suo posto si è provveduto a creare ampie zone destinate all’allevamento e alla coltivazione di canna da zucchero e soia. Ridotti a vivere in condizioni di estrema povertà e restii all’integrazione nella modernità, i Guaraní si sono ritrovati ad essere sfruttati nelle piantagioni pur di racimolare qualcosa per sopravvivere. Quando godevano della libertà della natura, i Guaraní cacciavano, pescavano, raccoglievano piante medicinali, coltivavano mais e manioca. La foresta era la loro casa, offriva loro riparo, li accoglieva e provvedeva ad ogni loro necessità. Il legame con la terra era strettissimo. Ora, costretti ad adeguarsi ad un mondo che non appartiene loro, vivono di stenti e di violenze continue. La loro cultura e le loro tradizioni sono state cancellate, e i Guaraní soffrono terribilmente di questa vuotezza di spirito, della perdita d’identità di un popolo un tempo prospero e felice. Conseguenza di questo sradicamento è una situazione di depressione che si è allargata a macchia d’olio nella popolazione guaraní, in particolar modo tra i giovani. I ragazzi guaranì sono isolati, non sanno chi sono, non hanno un luogo di appartenenza, non vedono un futuro degno di essere vissuto e molti, moltissimi di loro, arrivano al suicidio. Le percentuali sono spaventosamente alte. Studi approfonditi hanno dimostrato che il tasso di suicidi guaraní, negli ultimi tredici anni, è quasi triplicato ed è venti volte più alto della media nazionale brasiliana. La cosa peggiore è che le vittime sono giovani, ragazzi in un età compresa tra quindici e trent’anni.
“Birdwatchers – La terra degli uomini rossi” è un film di Marco Bechis e racconta la storia di questo popolo e il rapporto con i fazendeiros brasiliani. Ciò che caratterizza il film sono i personaggi: guaraní stessi che si sono offerti come attori, per far conoscere al mondo la loro condizione. Tra loro Ambrósio Vilhalva, leader sia nel film che nella realtà, il cui ruolo è stato fondamentale per la diffusione della denuncia. Il film è stato presentato al Festival di Venezia nel 2008 e pluripremiato. È risultato essere estremamente commovente: gli sguardi duri dei Guaraní sono intensi, esplicativi, e raccontano, in silenzio, la storia della loro sofferenza.
I Guaraní sono un popolo poco conosciuto, inascoltato, isolato, che lotta senza sosta per riprendersi la cosa più importante per un popolo tribale, senza la quale il popolo stesso perde ragione di esistere: la terra.