Sono più che sicuro che molti di voi avranno già avuto modo di confrontarsi con il video-esperimento lanciato poco sopra. Quanto avete appena visto è in realtà un test abbastanza vecchio,
abbastanza datato ma pur sempre attuale, del Dr. Daniel Simons, psicologo dell'università dell'Illinois e che descrive, l'interessante esperimento effettuato con l'aiuto di alcuni studenti e ricercatori, in un articolo pubblicato nel giornale online facilmente consultabile I-Perception.Nel caso sopra citato, in riferimento alla vista, questo fenomeno largamente studiato, prende il nome di cecità attenzionale ovverosia la capacità di escludere un oggetto che rientra nel nostro campo visivo di cui non abbiamo necessità di ricordare alcun ché. Il gorilla, e non solo il gorilla, è una delle tante occasioni per dimostrare questa facile caratteristica adattiva della nostra mente. Reperibili su internet, decide di altri video-esperimento che hanno per soggetti altri animali, oggetti, colori o quant'altro viene recepito dalla nostra mente come oggetto di disturbo e quindi non necessario.
Spesso si sente dire “quando sei concentrato non mi senti”. Sono sicuro sarà capitato spesso. Stessa motivazione per cui, mentre si è alla guida di un veicolo, non si presta attenzione se un amico ci saluta per strada. La cecità attenzionale, coniato nel 1975 da uno psicologo cognitivista, Ulrich Neisser, considera l'individuo come un elaboratore di informazioni e stimoli che entrando in relazione con un mondo dinamico ed estramamente variabile, nell'impossibilità di memorizzare ogni cosa, tende ad attuare un comportamento selettivo circa gli stimoli dell'ambiente esterno. La cecità attenzionale, tuttavia, secondo gli studi di cui sopra, interviene quando, stabilizzandosi il “target” - nel caso del nostro video, il gorilla irrompe nella scena non immediatamente ma quando il nostro cervello ha processato il comando “conta il numero di passaggi delle persone vestite di bianco” - un evento particolare o assolutamente fuori contesto interviene nella scena e, proprio a causa della sua particolarità, viene escluso perché riconosciuto come non necessario.
Volete un'altra prova? Camminate per strada con qualcuno, chiedete di guardare il panorama per intero. Dopo circa 200 metri, chiedetegli di che colore era la prima macchina che ha visto, oppure potresti chiedergli quanti piani aveva l'ultimo palazzo. Una mente non allenata, e come è stato dimostrato questo accade in più del 75% dei casi, non ricorderà dettagli così irrilevanti. Molti studi recenti hanno dimostrato, tra le altre cose, che l'attenzione che poniamo nei confronti di uno stimolo, influenza il modo con cui lo stesso stimolo viene percepito, quindi a livello conscio o inconscio, nonché le caratteristiche peculiari dell'oggetto in questione. Quindi, non si parla più di mera esistenza dell'oggetto escluso ma anche di particolari dell'oggetto, di caratteristiche fisiche quali colore, forma, dimensione.
Perché il riconoscimento avvenga, insomma, e qui giace il punto chiave, occorre che vi sia un livello di attenzione cosciente, perché non si tratterà più di una sola informazione ma di più informazioni raccolte a partire dallo stesso stimolo che, componendosi tra loro, restituiranno la percezione dello stimolo che verrà successivamente elaborata dal cervello. Questo avviene perché il riconoscimento dello stimolo, avviene principalmente in aree ben specifiche che comprendono parte della corteccia frontale, delle regioni parietali e dell'amigdala. Quanto finora detto poggia su di una scoperta necessaria al fine del ragionamento sopra spiegato e che venne realizzata negli anni novanta dal premio Nobel Francis Crick (lo stesso accusato di “riduzionismo forte” quando produsse delle forte dichiarazioni in merito al dibattito sull'anima nel 1994 con un articolo su un rivista scientifica specializzata, ndr ) e dal neuroscienziato Cristoph Koch che, studiando i neuroni ed in particolare quelle che ancora con qualche riserva vengono identificate come “assemblee di neuroni”,sostennero fortemente che solo le informazioni provenienti da assemblee di neuroni sono sufficientemente significativi da destare la coscienza, tutto il resto, verrà scartato in quanto selezionato dalla mente come informazione frammentaria, incompleta e quindi non funzionale.
Si potrebbe continuare a discutere di stimoli, di come aspettarsi uno stimolo, produca un rafforzamento dei segnali in entrata. Un classico esempio potrebbe essere, per gli amanti del gusto, una pratica incompresa ai più ma necessaria: prima di assaggiare un vino, lo si avvicina al naso per stimolare prima con l'olfatto quello che successivamente andrà in contatto con il gusto.
Cosa ne esce da quanto sinora detto? Che la sincronizzazione neuronale è uno strumento necessario per contrastare l'accumulo inutile di informazioni cui costantemente veniamo esposti. Che il salto tra livello conscio e inconscio risulta necessario, pur ad oggi privo di sperimentazioni, circa la capacità o l'incapacità del livello cosciente di reggere una tale mole di informazione e di renderle operative immediatamente. Che, infine e ancor più importante, per quanto si creda il cervello una macchina che possa passare da uno stato passivo ad uno attivo, in realtà non esce mai da una fase attiva, analizzando, selezionando qualitativamente e quantitativamente le informazioni che riceve dagli stimoli che derivano dal mondo esterno.
Anche quando pensiamo di essere passivi, in realtà, non lo siamo affatto. Quindi, ogni tanto, proviamo a dare tregua al nostro cervello. Proviamo ad isolarci e depurarci da eccessivi stimoli.
Filippo M. R. Tusa