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Guardarsi in uno specchio: Christos Ikonomou, Qualcosa capiterà, vedrai
Creato il 02 gennaio 2013 da Consolata @consolanzaAnnunciato dalla fascetta editoriale come il Faulkner greco, Christos Ikonomou è nato a Atene nel 1970, ha pubblicato due volumi di racconti e lavora come traduttore dall’inglese e giornalista. Questa raccolta, uscita nel 2010, che esce molto tempestivamente per gli Editori Internazionali Riuniti con l’efficace traduzione di Alberto Gabrieli, ha ricevuto il più prestigioso premio letterario greco, il Premio nazionale per la narrativa breve. Al di là dell’indubbio valore letterario fa impressione il tema ossessivamente declinato nei sedici racconti: la crisi economica, la crisi e ancora la crisi, le sue conseguenze sugli individui, l’impossibilità di continuare con la propria vita e l’altrettanto angosciosa impossibilità di inventarne una nuova. Acquavite e sigarette sembrano gli unici palliativi rimasti, nemmeno l’amore, gli affetti familiari né l’amicizia possono sopravvivere alla disperazione strisciante, alla depressione che schiaccia, alla necessità che opprime, alla perdita dei sogni. Con una scrittura molto ricercata nella sua falsa oralità (si sente parecchio la lezione dei giovani autori americani, che forse Ikonomou frequenta intimamente come traduttore) l’autore tratteggia brevi situazioni e personaggi colti in un momento di intima sincerità che non concede scampo, tutti ambientati nei sobborghi a ovest di Atene. Christos Ikonomou è scrittore molto controllato, forse un po’ troppo, il che in certe pagine crea un certo senso di troppo costruito, una mancanza di spontaneità, e questo è il suo limite maggiore; ma forse è inevitabile, se non si vuole cadere nel patetismo che in qualche momento è sfiorato e subito scacciato dalla luce fredda e dalla penombra delle parole sapienti. Nello stesso tempo ha la capacità di colpire senza preavviso con qualche piccolo particolare che non lascia indifferenti: Quella vigilia di Natale al lavoro, in un magazzino di pezzi di ricambio al Korydallòs, dentro risate e canzoni e fuori la neve che copre il mondo e il mondo che brilla bianco e freddo e duro come un’aia di marmo. Così come difficilmente si possono dimenticare i vecchi in coda in una notte di gennaio fuori dal poliambulatorio per riuscire a farsi visitare (Le cose che si portavano appresso) con il loro fuoco acceso in un fusto e i discorsi poveri di parole e gravidi di senso, mentre gli automobilisti che passavano da via Petrou Ralli rallentavano e li guardavano. Ma loro non ci facevano caso. Avevano molto freddo e sapevano che senza fuoco non ce l’avrebbero fatta a passare tutta la notte sul marciapiede. Non gli importava che cosa pensava la gente, avevano altro per la testa. Erano ammalati e assonnati. Erano vecchi. Avevano altro per la testa. O il padre che ingoia chiodi per la vergogna e il dolore di vedere il figlio portato via dalla polizia (I pinguini fuori dall’ufficio contabilità), i vicini che smantellano la recinzione dell’antica casa espropriata per rubare le pietre tagliate (Un pezzo alla volta mi rubano il mio mondo), l’operaio licenziato che vive su una banchina del porto (Per la povera gente). Ma in realtà ognuno di questi racconti ha una sua necessità nella narrazione delle diverse forme in cui si declina l’umiliazione di chi viene sputato via da una società in cui solo chi possiede il denaro conta, anzi, esiste. Sarà difficile liberarsi da questo ritratto della Grecia di oggi, lo stesso che ci viene continuamente agitato davanti come spettro di quello che potrebbe diventare il nostro ritratto di domani. Quello che lascia il segno, che stringe il cuore, è la mancanza di speranza espressa da questa folla di personaggi tratteggiati, nonostante tutto, con affetto e rispetto. Un libro da leggere e magari rileggere, per non dimenticare che le vittime, quelli che pagano più di tutti, sono sempre gli stessi, e usiamo pure questa parola ottocentesca e politicamente scorretta: i poveri.
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