E’ ripresa, con nuovo slancio, la lotta alla pirateria multimediale. Il sito Mulve, che permetteva di scaricare brani audio, è stato messo off-line, destino toccato a numerosi altri progetti come The Pirate Bay o l’antesignano Napster. La Francia ha messo a punto il sistema Hadopi, che come nel calcio, riserva all’utente “scorretto” una prima ammonizione, notificata attraverso mail, senza conseguenze, e solo alla seconda ammonizione una sanzione pecuniaria e il distacco dell’adsl. In Italia, a settembre, sono stati multati una ventina di utenti che hanno usufruito di Vedogratis, un sito che permetteva la visione di film in streaming, ciò è possibile attraverso dei link che dirottano l’utente su una pagina -ad esempio del sito di hosting Megavideo- con implementato un lettore video, per capirci come un link su un video di youtube, e strettamente connesso a Megavideo è Megaupload, che permette invece di scaricare il file video. Dal punto di vista legale il quadro non è affatto semplice, faccio un esempio: chiunque realizzi un video, un documentario, un film, può rinunciare allo sfruttamento economico dell’opera mettendola a disposizione sul web, basta fare un giro su youtube, google video ect, io utente che trovo sul web la possibilità di fruire di un video, come faccio a sapere se sto commettendo un reato fruendo gratuitamente di un contenuto che invece prevede un compenso agli autori/editori? Se si tratta del film “Avatar” la cosa è palese, ma non scontata, e quindi giuridicamente irrilevante, ma se si tratta di uno sconosciuto film islandese in cui c’è un solo attore, che è anche il regista, che recita un monologo di due ore? La crisi del mercato del cinema e della musica è sotto gli occhi di tutti, ed è innegabile che un colpo assai doloroso lo ha inferto internet. Alcuni sostengono che internet, in realtà, alimenti il mercato commerciale, aumentando la “fame” di musica e film, in sostanza più film guardo più voglia mi viene di guardare altri film, questo mi può portare ad andare al cinema più spesso, ad esempio per poter gustare al meglio l’ultimo film del mio autore preferito, film che essendo appena uscito in sala si trova su internet in qualità infima (i migliori file video che si scaricano dal web sono quelli dvd-rip, ovvero tratti dal dvd ufficiale del film, questo comporta che bisogna attendere l’uscita dell’home video, ovvero vari mesi dopo l’uscita in sala), oppure, per la musica, potrei andare più spesso a vedere dal vivo le band che più mi piacciono. Ma le ripercussioni di tale circolo virtuoso, è inutile dirlo, non compensano l’emmoragia dovuta all’immediata disponibilità di contenuti gratuiti. E se vincessero la majors? Il cinema e la musica perderebbero. Mi spiego: immaginate un ragazzino di quindici anni che vive in un paesino sull’appennino, mi spiegate come diavolo fa quel ragazzino a vedersi un film di Lars Von Trier? Aspetta che lo diano su Rete4? Internet ha danneggiato il mercato della musica e del cinema, ma non la musica e il cinema, il bacino di fruizione delle opere d’ingegno sul web è virtualmente infinito, e non facilmente manovrabile dalla logica del profitto. Sarò retorico, ma nella crisi del mercato della musica e del cinema vedo un’altra espressione della crisi del capitalismo: a voler il giro di vite sulla condivisione internettiana sono in massa le case di produzione, ma gli operai dei vari settori, ovvero gli autori, nonostante sia messo in discussione anche il loro profitto personale, sono meno categorici. Ricordo con piacere un cantautore, e per delicatezza non dico quale, che durante un incontro all’università spiegò come, a sua insaputa, la casa discografica avesse usato sul suo ultimo cd un sistema anticlonaggio, egli stesso era stato vittima del meccanismo, mentre tentava di masterizzare il suo stesso cd, e poi spiegò candidamente il metodo per aggirare il meccanismo di protezione (inoltre spiegò che lui, su ognuno di quei cd venduti, traeva un vertiginoso profitto di venti centesimi venti!). Ma allora dove prendere i soldi per produrre nuova musica, cinema e quindi cultura? Una soluzione è nell’abbatimento dei costi, ovviamente non a spese di chi lavora, ma nell’evoluzione degli strumenti, ad esempio nel cinema girando in digitale anzicché in pellicola, come già in parte avviene, ma soprattutto attrezzare le sale per la proiezione di copie digitali; vi ricordate quanto spendevate un tempo per sviluppare un rullino da 24? Avete presente quanto spendete ora per fare 24 fotografie con una compatta digitale? La seconda risorsa è la destrutturazione del mercato; più gente guadagna senza produrre attivamente l’opera, più alto è il costo dell’opera stessa, quindi modello cooperativistico, come avviene per buona parte del circuito indipendente. Infine c’è il ruolo giocato dallo Stato, abbiamo dato per acclarato che musica e cinema sono cultura, e la cultura è uno di quegli ambiti che uno Stato è chiamato a incentivare; tralasciando i tagli alla cultura, sorvolando sui contributi alla realizzazione di opere, perché non ridurre le imposte sul prodotto finito? Parificare l’iva a quella riservata ai libri.
Concludo con una considerazione personale; se io fossi un autore commerciale, ovvero se le mie opere fossero in vendita, mi senitrei lusingato nel pensare a qualcuno che rischia la fedina per fruire di una mia opera, lusingato e terrorizzato.
Magazine Società
E’ ripresa, con nuovo slancio, la lotta alla pirateria multimediale. Il sito Mulve, che permetteva di scaricare brani audio, è stato messo off-line, destino toccato a numerosi altri progetti come The Pirate Bay o l’antesignano Napster. La Francia ha messo a punto il sistema Hadopi, che come nel calcio, riserva all’utente “scorretto” una prima ammonizione, notificata attraverso mail, senza conseguenze, e solo alla seconda ammonizione una sanzione pecuniaria e il distacco dell’adsl. In Italia, a settembre, sono stati multati una ventina di utenti che hanno usufruito di Vedogratis, un sito che permetteva la visione di film in streaming, ciò è possibile attraverso dei link che dirottano l’utente su una pagina -ad esempio del sito di hosting Megavideo- con implementato un lettore video, per capirci come un link su un video di youtube, e strettamente connesso a Megavideo è Megaupload, che permette invece di scaricare il file video. Dal punto di vista legale il quadro non è affatto semplice, faccio un esempio: chiunque realizzi un video, un documentario, un film, può rinunciare allo sfruttamento economico dell’opera mettendola a disposizione sul web, basta fare un giro su youtube, google video ect, io utente che trovo sul web la possibilità di fruire di un video, come faccio a sapere se sto commettendo un reato fruendo gratuitamente di un contenuto che invece prevede un compenso agli autori/editori? Se si tratta del film “Avatar” la cosa è palese, ma non scontata, e quindi giuridicamente irrilevante, ma se si tratta di uno sconosciuto film islandese in cui c’è un solo attore, che è anche il regista, che recita un monologo di due ore? La crisi del mercato del cinema e della musica è sotto gli occhi di tutti, ed è innegabile che un colpo assai doloroso lo ha inferto internet. Alcuni sostengono che internet, in realtà, alimenti il mercato commerciale, aumentando la “fame” di musica e film, in sostanza più film guardo più voglia mi viene di guardare altri film, questo mi può portare ad andare al cinema più spesso, ad esempio per poter gustare al meglio l’ultimo film del mio autore preferito, film che essendo appena uscito in sala si trova su internet in qualità infima (i migliori file video che si scaricano dal web sono quelli dvd-rip, ovvero tratti dal dvd ufficiale del film, questo comporta che bisogna attendere l’uscita dell’home video, ovvero vari mesi dopo l’uscita in sala), oppure, per la musica, potrei andare più spesso a vedere dal vivo le band che più mi piacciono. Ma le ripercussioni di tale circolo virtuoso, è inutile dirlo, non compensano l’emmoragia dovuta all’immediata disponibilità di contenuti gratuiti. E se vincessero la majors? Il cinema e la musica perderebbero. Mi spiego: immaginate un ragazzino di quindici anni che vive in un paesino sull’appennino, mi spiegate come diavolo fa quel ragazzino a vedersi un film di Lars Von Trier? Aspetta che lo diano su Rete4? Internet ha danneggiato il mercato della musica e del cinema, ma non la musica e il cinema, il bacino di fruizione delle opere d’ingegno sul web è virtualmente infinito, e non facilmente manovrabile dalla logica del profitto. Sarò retorico, ma nella crisi del mercato della musica e del cinema vedo un’altra espressione della crisi del capitalismo: a voler il giro di vite sulla condivisione internettiana sono in massa le case di produzione, ma gli operai dei vari settori, ovvero gli autori, nonostante sia messo in discussione anche il loro profitto personale, sono meno categorici. Ricordo con piacere un cantautore, e per delicatezza non dico quale, che durante un incontro all’università spiegò come, a sua insaputa, la casa discografica avesse usato sul suo ultimo cd un sistema anticlonaggio, egli stesso era stato vittima del meccanismo, mentre tentava di masterizzare il suo stesso cd, e poi spiegò candidamente il metodo per aggirare il meccanismo di protezione (inoltre spiegò che lui, su ognuno di quei cd venduti, traeva un vertiginoso profitto di venti centesimi venti!). Ma allora dove prendere i soldi per produrre nuova musica, cinema e quindi cultura? Una soluzione è nell’abbatimento dei costi, ovviamente non a spese di chi lavora, ma nell’evoluzione degli strumenti, ad esempio nel cinema girando in digitale anzicché in pellicola, come già in parte avviene, ma soprattutto attrezzare le sale per la proiezione di copie digitali; vi ricordate quanto spendevate un tempo per sviluppare un rullino da 24? Avete presente quanto spendete ora per fare 24 fotografie con una compatta digitale? La seconda risorsa è la destrutturazione del mercato; più gente guadagna senza produrre attivamente l’opera, più alto è il costo dell’opera stessa, quindi modello cooperativistico, come avviene per buona parte del circuito indipendente. Infine c’è il ruolo giocato dallo Stato, abbiamo dato per acclarato che musica e cinema sono cultura, e la cultura è uno di quegli ambiti che uno Stato è chiamato a incentivare; tralasciando i tagli alla cultura, sorvolando sui contributi alla realizzazione di opere, perché non ridurre le imposte sul prodotto finito? Parificare l’iva a quella riservata ai libri.
Concludo con una considerazione personale; se io fossi un autore commerciale, ovvero se le mie opere fossero in vendita, mi senitrei lusingato nel pensare a qualcuno che rischia la fedina per fruire di una mia opera, lusingato e terrorizzato.
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Il 27 novembre 2025 da Nicolasit
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