Ogni tanto invidio la fede. Non quella del senso comune, nè tantomeno la fiducia cieca in un'ideologia, ma piuttosto quel profondo (e irrazionale) senso di certezza che si prova quando si è assetati di fronte ad un bicchiere d'acqua. Invidio la consapevolezza "statistica" del soddisfacimento di un desiderio attraverso un oggetto intangibile ma, nel contempo, materializzato sin nelle sue più oscure fattezze.
Ma purtroppo, anche la fede ha le sue falle. Innanzi tutto quella di essere vista come un "dono" (volutamente tra virgolette). Un dono da parte di chi? Ahimè, dello stesso oggetto che poi la fede dovrebbe svelare. Il circolo vizioso è palese e, purtroppo, anche letale. La quadratura del cerchio fallisce e allora, per evitare una brutta figura, si cambia il nome agli elementi e si rende il generato generatore.
Giorno dopo giorno realizzo quanto l'uomo abbia annegato il suo scorcio d'infinito nella quotidianità, ma con la stessa pregnanza, scopro che tra tutte le soluzioni parziali (e umane), l'unica presa a modello di perfezione è la meno perfettibile, la più inadeguata alla realtà esistenziale della vita umana.
Si può sperare dunque il dono della fede? Forse sì. Come si potrebbe pensare che una psicosi possa annebbiare il senso di realtà per dar vita ad un mondo frammentato ma anche deregolamentato. Ma per chi è solo vittima di nevrosi, per chi osserva gli alberi senza essere, a sua volta, da essi osservato; per chi pensa che l'amore, l'odio, l'amicizia, i "valori" siano quel sale che rende gradevole al palato la vita, può quest'illusione davvero illuminare?
Io credo che il dubbio sia decisamente più "umano" di qualsivoglia certezza e, con mio grande dispiacere, ho da molto tempo abolito l'ontologia dell'essere supremo, a meno di non lodare la sterminata fantasia dell'uomo nel disegnarlo e renderlo suo dio. Ahimè, la mia soddisfazione è scarsa e le stelle continuano, mute, ad essere soltanto osservate.
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