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Gubitosi (Rai): "I talk-show urlati hanno stancato, basta tv trash, voglio qualità" (la Repubblica)
Creato il 15 settembre 2013 da Nicoladki @NicolaRaianoDal settore privato a quello pubblico, è riuscito a superare lo choc dopo un anno a viale Mazzini? «Sono un manager, non un “tecnico” della televisione. E il mio mestiere è quello di far crescere le aziende e risolvere i problemi.Lo choc è stato reciproco, per me e per la Rai. Ma non è tanto una questione di prodotto, di risorse o di dipendenti; quanto di “governance”, cioè di peculiarità della gestione in un’azienda che è pubblica e deve funzionare come un’azienda privata».
Lei sa bene che, in base alla legge Gasparri tuttora vigente, la Rai sarebbe destinata alla privatizzazione… «Dopo 26 anni di lavoro nel settore privato, come tutti i neo-convertiti, oggi sono entusiasta di lavorare in questa azienda: credo che il servizio pubblico radiotelevisivo sia molto utile al Paese. Non a caso esiste in tutta l’Europa occidentale. Ecco, se posso esprimere un auspicio, vorrei che la Rai riuscisse a mantenere la sua natura pubblica e a semplificare la gestione, per svincolarla dalle interferenze politiche e renderla più rapida».
Già, la sudditanza alla politica. Ma c’è anche la sudditanza alla pubblicità, la cosiddetta “schiavitù dell’audience”. Negli altri Paesi europei, la televisione pubblica o funziona solo con il canone (come la Bbc in Gran Bretagna o Rte in Spagna) oppure ha una quota ridotta di ricavi pubblicitari. «La Rai ha il canone più basso e più evaso d’Europa, nonostante che vanti una maggiore offerta e anche un maggiore apprezzamento in termini di share. Queste, comunque, sono scelte che spettano all’azionista o al legislatore in attesa del rinnovo della Convenzione con lo Stato nel 2016: quello sarà il momento più opportuno per discutere sul modello di servizio pubblico. Nel frattempo, e mi permetto di parlare anche a nome della presidente Anna Maria Tarantola, noi non ci faremo né intimidire dalla politica né condizionare dalla pubblicità».
Vuol dire che in futuro la Rai baderà meno agli ascolti e più alla qualità? «Questa è la missione aziendale. Se riusciremo a fare programmi di qualità, non mi preoccuperò tanto di perdere ascolti. Certo è che dobbiamo abbandonare la strada di una certa produzione trash e riprendere quella della tradizione culturale: a cominciare dal teatro, a cui dedicheremo uno spazio particolare».
Negli ultimi tempi, avete subìto forti pressioni da parte della Commissione parlamentare di Vigilanza che vi ha chiesto di visionare in anticipo “Mission”, il nuovo programma di fiction sui rifugiati… «Non si tratta esattamente di fiction, ma di social tv. E non ho difficoltà a dire che questa sarebbe una forma di censura preventiva, in contrasto con l’articolo 21 della Costituzione. Per il momento, “Mission” è un programma che nessuno ha visto – nemmeno io! – perché ancora non c’è materialmente: al montaggio, fra l’altro, parteciperà anche un esponente del Commissariato Onu sui rifugiati. Prima di mandarlo in onda, lo visioneremo attentamente e poi sarà il pubblico a giudicare».
Lei ha deciso, dunque, di sfidare la Vigilanza? «Rispetto le istituzioni e tutti i parlamentari. Ma trovo incredibile che faccia parte di questa Commissione un senatore (Maurizio Rossi di Scelta Civica – ndr) che è proprietario di una tv privata, è in palese conflitto di interessi e ciononostante chiede alla Rai i contratti, i compensi e i dati sensibili che impattano sulla concorrenza».
Per la verità, anche contro la Rai è arrivato qualche esposto all’Autorità di garanzia sulle Comunicazioni. «Qui vedo una deriva pericolosa. E lo dico sempre con il massimo rispetto per le persone e per i ruoli. L’onorevole Renato Brunetta, per esempio, ha presentato all’Agcom un esposto contro “Che tempo che fa” per contestare la presenza di troppi ospiti di sinistra, tra i quali indica il maestro Maurizio Pollini, rispetto a quelli di destra. Ma mi rifiuto di dividere la società italiana in blocchi politici: dobbiamo cercare, piuttosto, di unirla intorno a valori condivisi. Quando ascolto i “Notturni” di Chopin eseguiti da Pollini, non mi chiedo se lui è di destra o di sinistra».
Cresce, intanto, l’insofferenza del pubblico verso i talk-show: troppa violenza verbale, troppi litigi, troppe risse… «Quello è un format che si sta certamente logorando. Capisco la stanchezza dei telespettatori. I talk-show riflettono una politica che divide e a loro volta alimentano le divisioni. È un circolo vizioso, in cui imperversa un linguaggio sempre più distruttivo».
E la Rai come pensa di provvedere? «Durante l’estate abbiamo già fatto un tentativo con le quattro puntate di “Petrolio”, il programma di Duilio Giammaria sul patrimonio dei nostri beni culturali. Ed è stato senz’altro un esperimento riuscito. Su questa linea, stiamo studiando una serie di trasmissioni sul rapporto fra Italia ed Europa, anche per stimolare l’orgoglio nazionale e suscitare l’emulazione. Poi, ci occuperemo dell’Expo 2015 di Milano che sarà un’opportunità interessante per il nostro Paese e per il mondo. Una nuova programmazione culturale è prevista su Rai 5, mentre abbiamo affidato a Silvia Calandrelli un ciclo di puntate sulla Storia. Vogliamo contribuire, insomma,a far crescere il gusto del pubblico».
In attesa di un eventuale videomessaggio di Berlusconi, lei ha già messo le mani avanti lasciando la responsabilità della decisione ai direttori delle reti e dei tg. Vuole ispirarsi, insomma, a Ponzio Pilato? «No, rispetto l’autonomia professionale dei direttori e non intendo impartire direttive a priori. Per me, ci sono due punti fermi: il videomessaggio di Berlusconi, se arriverà, sarà comunque una notizia; la Rai trasmette integralmente solo i messaggi del Presidente della Repubblica. In ogni caso, garantiremo il contraddittorio con le altre parti politiche. Ma sarò assolutamente intollerante verso ogni discriminazione, nei confronti del Pdl o di qualsiasi partito».
Intervista di Giovanni Valentini per "la Repubblica"
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