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Guerra civile in Siria, verso l’ultima primavera araba…

Creato il 19 luglio 2012 da Candidonews @Candidonews
Guerra civile in Siria, verso l’ultima primavera araba…

La carta mostra il mosaico etno-religioso siriano. Gli arabi, principale componente etnica del paese, sono divisi in sei confessioni religiose, ciascuna delle quali è associata ad un colore diverso. Inoltre, sono indicate anche le minoranze curda, turkmena e la zona di nomadismo.
Nella carta di colore giallo in basso a destra viene invece evidenziata la distribuzione geografica delle vittime della rivolta scoppiata nel marzo 2011. I dati sono aggiornati al gennaio 2012.

La strage di ieri in Siria, con la morte di diversi Ministri e persone vicine al Presidente Assad, ha fatto fare un salto di qualità alla rivolta dei ribelli alla dittatura del Rais. Un articolo di Limes ci fa capire perche ci sono novità:

Per quanto i ribelli islamisti se ne attribuiscano il merito, il colpo in uno dei più protetti palazzi del potere di Damasco è venuto da dentro. Quanto meno, con la partecipazione straordinaria di qualcuno che avesse accesso alla cerchia intima di Bashar. Senza il supporto di elementi interni alla cricca che da oltre quarant’anni tiene in pugno il paese, l’attacco al cuore del regime non sarebbe stato concepibile. Dopo le recenti defezioni di alti dignitari diplomatici e militari, la strage di ieri mina le fondamenta della dittatura siriana.

L’esito della guerra civile appare incerto, le due fazioni non sembrano poter prevalere l’una sull’altra:

Certo, l’esito della guerra civile resta indeterminato. Il massacro continua, anche se la disinformazione di tutte le parti in conflitto impedisce di coglierne le dimensioni effettive. Il presidente potrà restare per un tempo forse non breve sulla sua poltrona, o asserragliato in qualche bunker. Ma intorno a lui i veri detentori del potere – le élite militari e in specie dell’intelligence – stanno rifacendo i conti per adattarsi a uno scenario mobile.

 Sul piano militare, nessuno può vincere. Da sole, le opposizioni armate non prevarranno. Nemmeno con i sostanziosi aiuti arabosauditi, qatarini e occidentali. Ma non potranno essere sradicate, a meno che i pretoriani di al-Assad non optino per la guerra di sterminio, mettendo mano financo alle armi chimiche

Una partita a due per il futuro della Siria. Arabia Saudita ed Iran si giocano l’influenza sulla regione, con le relative conseguenze per i paesi vicini (vedi Libano):

Per un cambio di regime non basta la resa del sovrano uscente, o meglio di coloro che lo usano come scudo dei propri privilegi. Serve un nuovo sovrano. I pretendenti sono un po’ troppi, uniti solo dall’odio per l’assai minoritaria setta alauita che s’identifica con il potere e per la borghesia degli affari che vi è associata. Se mai vi sarà un vincitore della partita siriana, costui non sarà chi avrà fatto fuori al-Assad, ma chi fra coloro che l’avranno eliminato sarà riuscito a liquidare i suoi attuali alleati.

Qui conviene allargare il quadro. Sotto il profilo strategico, quella siriana è una guerra per procura. La mattanza interna si riflette infatti sulla partita regionale e sul braccio di ferro fra le maggiori potenze globali. E viceversa.

 Quanto alla regione. In Siria si scontrano anzitutto Arabia Saudita e Iran. Chiunque succeda ad al-Assad, difficilmente potrà essere manovrato dai persiani. Vista da Teheran, la sconfitta dell’ambiguo alleato siriano significherebbe perdere il collegamento diretto con il Libano e quindi lo sbocco sul Mediterraneo. Già solo il prolungamento della crisi mette in questione l’influenza iraniana sul Levante e ne indebolisce la leva libanese, Hezbollah. Peraltro, il fronte arabo sunnita è tutt’altro che omogeneo. Il protagonismo del Qatar, che sostiene i “suoi” Fratelli musulmani contro gli islamisti più vicini a Riyadh, ha alterato gli equilibri del Golfo.

Anche il resto del Mondo ‘gioca’ sul destino della Siria. Stati Uniti, Russia e Cina duellano per trovare una soluzione favorevole ai propri interessi:

Qui interviene la dimensione mondiale del conflitto. Finché le “primavere” destabilizzano il Nordafrica o il Sahel, passi. Ma quando si avvicinano a Israele e alle ricchezze energetiche del Golfo Persico/ Arabico, suona l’allarme generale. Stati Uniti, Russia, Cina e residue subpotenze europee (Francia in testa) alzano le antenne e dispongono le carte sul tavolo del grande gioco geopolitico. Washington vorrebbe a Damasco un regime sunnita spacciabile per democratico, che completi l’accerchiamento dell’Iran senza troppo eccitare i timori israeliani. Ma Obama non vuole impegnarsi direttamente nella guerra, comunque non alla vigilia delle elezioni presidenziali.

 Mosca preferisce il massacro infinito pur di non perdere l’ultima pedina in Medio Oriente. Putin ha mangiato la foglia libica. Sicché veta qualsiasi risoluzione del Consiglio di Sicurezza da usarsi per legittimare un intervento militare. Per il leader russo il “cambio di regime” è anatema comunque e dovunque, perché la moda potrebbe estendersi al suo impero. Infine, uno sguardo alla carta geografica ci ricorda che siamo a due passi dal Caucaso: i jihadisti a Damasco come nuovo anello di una catena che destabilizza la Russia musulmana?

 Pechino condivide i timori di Mosca. Alle Nazioni Unite si muove nella sua ombra, lasciando ai diplomatici di Putin il lavoro sporco. Di sicuro non vuole allargare il conflitto, con il rischio di incendiare una regione strategica per i propri rifornimenti energetici.

Il regime di Assad è agli sgoccioli, non è però chiaro a cosa porterà l’ultima primavera araba…


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