Magazine Politica

Guerra tra poveri per decreto

Creato il 12 ottobre 2013 da Albertocapece

cassa-integrazione

Anna Lombroso per il Simplicissimus

34 morti, un numero sconosciuto di dispersi, ma sono conosciute le ragioni per le quali dei disperati si pigiano su un barcone per arrivare dove nessuno li vuole dove sono un problema che alimenta una guerra tra poveri se ha ragione l’assessore al lavoro della Regione Toscana Gianfranco Simoncini, che denuncia “La decisione del Consiglio dei Ministri di non finanziare la Cassa integrazione in deroga, diversamente a quanto preannunciato e atteso, è preoccupante e grave.  Nel decreto varato dal Governo ci si aspettava il rifinanziamento assolutamente insufficiente, di 330 milioni di euro….Questi soldi non sono invece stati stanziati. Perché? Perché una cifra simile, 310 milioni di euro,  troppo simile per non destare sospetti, è stata destinata all’accoglienza dei clandestini”.

Basta poco di questi tempi per nutrire odio paura e inimicizia. Basta una parola: clandestini, per contrapporre probi lavoratori segnati dalla crisi a irregolari che arrivano qua a trasgredire, compiere atti illegali, mangiarepaneaufo, nemici fin da piccoli, immeritevoli di essere italiani anche se nascono qua. Basta poco per armare gerarchie di doveri, di diritti e di responsabilità, così che vincono le armi, portaerei e bombardieri compresi, sulle ragioni della solidarietà e della civiltà. Basta poco se diventa sistema di governo, non  poi molto lontana da un sentimento comune, la collaudata tecnica brutale del rifiuto di questa  massa immobile di carne, informe senza volto, del respingimento cinico che si riserva a chi non è abilitato a vivere una vita propria, che non gli appartiene, perché negata nei suoi fondamenti, la cui nudità di diritti viene rinfacciata come una colpa e un capo di imputazione, quello di non aver nulla da perdere e che espone al rischio, all’umiliazione e alla probabile, se non inevitabile,  trasgressione. Basta poco per attuare l’unico disegno di questo ceto politico irresoluto imbelle e incapace: quello di far sentire il Paese fragile, in pericolo, assediato, solo, inerme, nelle  condizioni perfette per affidarsi, per consegnarsi a uomini decisi, autoritari, cinici, ricchi, spietati, senza scrupoli e senza compassione. I più attrezzati per dialogare con un mercato e una finanza altrettanto cinici e spericolati.

Va di moda in questo avvitarsi della cronaca, troppo accelerata per diventare storia,  un barcone dopo l’altro in un tremendo replicarsi, distinguere con assennata e puntigliosa precisione tra profughi richiedenti asilo e migranti, ancorché ambedue le categorie siano già clandestine alla partenza da un qualsiasi lido mediterraneo. Ed è giusto: in Italia siamo arretrati anche nelle procedure del riconoscimento dello status di rifugiato e succede che per anni quelli che ne avrebbero diritto, sostino in una terra di nessuno, senza nome e senza libertà, nemmeno quella della nostalgia e della rivendicazione dei diritti. Ma resta una questione di lana caprina perché come gli italiani dagli Appennini alle Ande, come quelli che sbarcavano a New York messi in quarantena, come i siciliani a Torino, chi scappa dalla fame, dalla sete, dalle malattie, dall’avanzare inesorabile  del deserto che inaridisce tutto, anche le speranze, non è forse in cerca di rifugio quanto chi scappa da non meglio identificati gas e dallo scoppio di bombe magari fornite a caro prezzo ad ambo i contendenti di un conflitto, da celebrate aziende italiane?

Non siamo anche   potenziali profughi di una belligeranza senza quartiere, senza regole cavalleresche,  e nella quale i signori della guerra e anche i loro generali stanno in alte torri di acciaio e di cristallo, dietro lucide scrivanie, nelle cattedrali di quella “cupola” planetaria, fatta di grandi patrimoni, di alti dirigenti del sistema finanziario, di politici che intrecciano patti opachi con i proprietari terrieri dei paesi emergenti, di tycoon dell’informazione, insomma di quella classe capitalistica transnazionale che domina il mondo e è cresciuta in paesi che si affacciano sullo scenario planetario grazie all’entità numerica e al patrimonio controllato e che rappresenta decine di trilioni di dollari e di euro, che per almeno l’80% sono costituiti dai nostri risparmi di lavoratori, che vengono gestiti a totale discrezione dai dirigenti dei vari fondi, dalle compagnie di assicurazioni o altri organismi affini? E servita da quelli che qualcuno ha chiamato i capitalisti per procura, poteri forti per la facoltà che hanno di decidere le strategie di investimento, i piani di sviluppo, le linee di produzione anche di quel che resta dell’economia reale, secondo i comandi di una cerchia ristretta e rapace, banche, imprese, investitori e speculatori più o meno istituzionali.

Il XXI secolo non sarà migliore del XX se non impariamo a vivere nel mondo e con gli altri. Non bastano i prodotti volonterosi degli uomini di cultura, libri, film, tesi di laurea, mostre, sull’avventura nuda cruda e disperata dei viaggi da un posto all’altro del mondo, fuori dall’oceano della disperazione magari per annegare in un piccolo tratto di mare.  Siamo noi tutti che dobbiamo affrontare la traversata metaforica dell’esistenza, noi con gli altri e verso gli altri, perché è poi questo il senso della vita, della ricerca di un significato, dello spingersi oltre la paura. “Fatti non foste…”   ecco, non siamo fatti per questo meschino e crudele rinchiuderci in una sopravvivenza minacciata in attesa di qualche apocalisse che, venendo da un alto imperscrutabile,  risolva i nostri problemi nell’uguaglianza finale.


Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :

Magazines