Ricapitoliamo. Migliaia di giovani britannici incazzati per qualche giorno mettono a ferro e a fuoco le città. Negli incidenti cinque persone ci rimettono la vita. La scintilla è l’uccisione – da parte della polizia – del giovane pregiudicato Mark Duggan, il 4 agosto. A guerriglia conclusa, la commissione indipendente che vigila sul comportamento delle forze dell’ordine, parla di errori grossolani nella comunicazione, che hanno infuocato la protesta. Gli albionici casseur si sono tenuti in contatto tra loro con Blackberry Messenger, Twitter e Facebook. Il governo britannico decide una stretta di vite nei confronti dei social network.
Si tratta, ovviamente, di un pretesto. Ogni governo, sia pur occidentale, sia pur democratico, ha la voglia matta di normalizzare un fenomeno che gli sfugge dalle mani. Beati i regimi iraniano, cinese, birmano, siriano, cubano, eccetera, che non hanno lacci e lacciuoli e se ne fregano dei diritti civili. Potessimo fare come loro!
Sui social network si cazzeggia, certo, ma si fa anche controinformazione. Lì passano notizie e commenti che tivù e giornali ignorano o liquidano con qualche riga. Lì si forma un’opinione pubblica diversa da quella ufficialmente rappresentata. Una rottura di balle per chi ha lavorato una vita per accaparrarsi giornali e televisioni e far passare il pensiero unico.
Si, usava i social network anche il neonazista assassino Anders Behring Breivik, ma non per questo il governo norvegese ha chiuso i rubinetti a Facebook e Twitter. Si, i saccheggiatori britannici hanno usato le messaggerie digitali per mettersi d’accordo. E allora? La polizia faccia le sue indagini su chi infrange la legge e lasci in pace gli altri.
Altrimenti al prossimo incidente stradale provocato da chi guida contromano dovremmo invocare lo stop alla vendita delle automobili. Al prossimo accoltellamento con utensili da cucina ci sarà un interrogante parlamentare che proporrà il controllo sulle vendite. E’ già successo con il presuntoabuso da social network, che causerebbe gravi danni alla salute…
Di demonizzazione dei videogames ho già parlato altrove e non voglio ripetermi.
La criminalizzazione, come la calunnia, è un venticello, un’auretta assai gentile che insensibile sottile leggermente dolcemente incomincia a sussurrar…
PS. Segnalo, su La Stampa di oggi, 14 agosto, le lucide considerazioni di Juan Carlos De Martin. Sono contento di non essere l’unico a pensarla così.