Magazine Hobby
E' il primo guest post che ospito nel mio blog e non sarà l'ultimo.
Un guest post per arricchire il mio blog di parole, creazioni e passioni di quelle persone che più amo seguire nella blogosfera, che non solo mi ispirano ma mi arricchiscono nel cuore e nell'anima, mi fanno conoscere nuove strade e vedere cose con occhi diversi, quasi nuovi.
Debbie è una di queste: lei è speciale per me, a lei la vita la messa di fronte ad una dura prova...ma l'ha superata con grande coraggio e ora osserva e vive il mondo dalle piccole cose.
Lascio la parola a Debbie e le Piccole Cose.
*********************** Mio figlio si è appena svegliato dal riposino pomeridiano, ha le guance rosse e l’odore di sonno tipico dei bambini. Mi guarda di traverso, si vede che è rintronato, che ancora non riesce nemmeno ad aprire gli occhi.
“Ehi, sei arrabbiato?” gli chiedo.
Ha il broncio, mi guarda di traverso e poi ride. Ha un mio capello addosso, lo afferra e lo guarda contro luce.
“Mamma Blè” dice.
Si, è un mio capello. Mamma Blè sono io. E, insieme al mio maestro, mi incanto davanti ad un capello.
Ho 35 anni ed è da un po’ che ho superato l’infanzia. Eppure mai come adesso ho sentito di vivere in una dimensione magica, mai come adesso che ho questo miracolo accanto ho guardato il mondo con gli occhi giusti.
Ero una che si piangeva addosso. Una che stava sempre a rinvangare il passato. Una che pensava alle assenze della vita più che alle presenze. Una che sprecava.
Sprecavo tempo, sprecavo emozioni, sprecavo tutto quello che avevo. E la vita passava senza dare i resti a nessuno.
Poi è arrivato lui.
Un bambino come tanti, ma mio.
Occhi nuovi sul mondo.
Una manina stretta intorno al mio dito, ai miei capelli, una presa forte che si aggrappava.
Mi tengo a te, sembrava dire, ma tu non mi mollare.
Avevo una gran paura all’inizio: cosa avrei potuto dare al mio bambino? Non avevo latte e piangevo tutti i giorni per questo. Non avevo una casa di proprietà e mi arrovellavo giorno e notte per capire cosa fare per trovarne una.
Dopo due mesi dalla nascita di mio figlio, la vita mi ha dato un bello scossone.
Due lunghe, infinite settimane di rianimazione per una bronchiolite con tutte le possibili e immaginabili complicanze. Altre due settimane di terapia sub-intensiva.
Se dovessi raccontare a qualcuno cos’è l’inferno, sono sicura che non avrebbe a che fare con diavoli e fiamme.
L’inferno è dove i bambini stanno male, dove le mamme sentono la carne che va in putrefazione al posto del sacco amniotico, dove il cuore non ha spazio di esistere. Dove bisogna essere forti. Non piangere. Rimandare a dopo.
Sono passati due anni e mi ero ripromessa che la vita avrebbe chiesto scusa a mio figlio.
Mi sono sentita in colpa nei suoi confronti, come se lo scossone fosse arrivato colpendo lui per raggiungere me.
Per ricordarmi che la felicità non era in un palazzo reale, che stavo sprecando la mia vita in cerca di quello che non avevo. Che la felicità era la normalità. Era, come direbbe Schopenhauer, nell’assenza di dolore.
Allora ho fermato il mondo. Mi sono inchinata ad osservare, ho assaporato, ho infilato le mani anche nel fango e mi sono accorta che il bello c’era. Che un capello controluce attaccato alla faccia di un bambino potesse essere una meraviglia ai suoi occhi e, di riflesso, nei miei.
Ho scoperto che nessuna vita è perfetta, ma c’è chi sa godere delle piccole cose e chi no. Ho scoperto che ognuno è libero e responsabile della sua felicità, che possiamo piangerci addosso per tutta la vita e…. ottenere cosa?
Devo molto a questo bambino per avermi donato una seconda possibilità di vivere.
Perché, l’ho detto, io non ero capace. E’ stato lui ad insegnarmelo, lui a soffrire, lui a spingermi ad essere felice.
Se state leggendo questo post, che abbiate figli o meno, non avete scampo: io ve l’ho detto che la felicità è piccola.
Che è in queste cose.
Nelle piccole cose.
Perché la vita non torna
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