Un’ampia pianura, in epoca remota squallida e palustre, oggi fertilissima, popolata d’innumerevoli paesi, sparsa di leggiadre case di villeggiatura, intersecata in ogni senso da una fitta rete di comode strade, si distende a ponente di Firenze, e in mezzo ad essa mollemente serpeggia l’Arno, mentre tutt’all’intorno le colline ubertose formano una gentile corona che ha per gemme i suntuosi palazzi campestri e le chiese dalle linee pure e gentili.
Sulla destra riva del fiume, lungo i due grandi stradali che in senso differente percorrono i piani per ricollegarsi poi a Pistoja, corrono come due borghi interminabili di caseggiati che assumono i nomi diversi dalle antiche località e dalle vecchie chiese attorno alle quali si costituirono i primi centri.
Lungo la via Pistojese, dopo Rifredi, divenuto ormai un sobborgo di Firenze e si potrebbe dir quasi il quartiere industriale fiorentino, vengono Castello, presso al quale primeggiano, fra una miriade di ville, le due splendide dimore Medicee ora patrimonio della Corona: Castello e Petraja, poi Sesto, ampio ed industrioso paese, reso celebre dalla vicina manifattura di porcellane di Doccia, fondata nel 1740 dai Ginori, continuatori delle operose tradizioni della vecchia nobiltà fiorentina, e finalmente Calenzano, il pittoresco castello che guarda Prato e la fresca valle del torrente Marina.
Monte Morello
Dietro ai colli verdeggianti, a piè dei quali passa questa grande arteria, inalza la sua massa imponente Monte Morello, il più elevato fra i poggi che attorniano Firenze. Monte Morello, coperto un giorno di fitte selve, in mezzo alle quali si nascondevano romite chiesette, oggi distrutte o abbandonate, presenta la sua vetta arida e brulla come quella d’un vulcano, verso la quale i vecchi fiorentini rivolgono quotidianamente lo sguardo, quasi a trarne l’oroscopo del tempo.
D’estate i riflessi rossastri delle balze riarse sono un indizio di gran caldo; d’inverno, invece, le nevi biancheggianti sull’alta cima denotano stagione rigida e ventosa, e quando le nubi si addensano avvolgendo e nascondendo il cocuzzolo della montagna, il buon fiorentino aspetta rassegnato la pioggia, mormorando fra sè i versi strampalati d’un vecchio dettato:
Quando Monte Morello mette il cappello
Piglia l’ombrello!
Fra la via Pistojese e l’altra via comunemente chiamata Lucchese, che segue più da vicino il corso dell’Arno, è un’immensa estensione di campi e di prati che han preso il posto di quei tristi e paludosi terreni, per sanare i quali, prima la Repubblica poi il governo Granducale profusero denari a piene mani. Sulla via Lucchese non è men fitto il caseggiato ed i borghi si succedono senza interruzione l’uno all’altro.
( Guido Carocci, Il Valdarno da Firenze al mare, 1906 )