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Guilty of romance – Sono Shion

Creato il 01 agosto 2012 da Maxscorda @MaxScorda

1 agosto 2012 Lascia un commento

Guilty of romance
Tempi moderni. Dimenticatevi Chaplin, quella e’ roba per cadaveri che s’agitano per sentito dire. Parlo invece dell’Apocalisse dell’Occidente che ha gia’ sparato il colpo in piena tempia ed e’ solo questione di istanti prima che il piombo esca dalla canna e attraversi il cranio da parte a parte. Sempre col sorriso ovviamente, sempre gentilmente e’ ovvio, senza disturbare il prossimo, senza irritarlo, senza alzare la voce perche’ siamo tutti una grande e sola famiglia.
Qualcosa pero’ e’ andato storto se un uomo celebre e nel pieno degli anni, esige dalla prosperosa e bella moglie che gli compri il sapone di Marsiglia invece di sbatterla giu’ dura, proprio come lei vorrebbe ma che non osa chiedere.
Forse e’ pazza ma se lo e’ veramente, altri sono come lei e altri ancora sono piu’ pazzi se uccidono, smembrano, giocano con corpi una volta umani
Siamo tutti colpevoli e la colpa e’ di aver permesso di strapparci un’umanita’ forse un po’ piu’ sporca, magari volgare e qualche volta offensiva ma vera che non ha bisogno di urlare, violentarsi ed uccidere per sentirsi viva.
Sono Shion ancora una volta e’ un passo avanti tutti nel tratteggiare la confusione imperante, la paura crescente, lo smarrimento e anticipare in fondo una sconfitta evidente di una cultura che nella follia ritrova un barlume di dignita’ e coraggio. Egli e’ uomo di storie, d’idee e concetti nelle immagini funzionali al testo e non viceversa, regia trasognata nelle luci artificiali alla Hou Hsiao-hsien, tracce di thriller come Bong Joon-ho, conditi in folle salsa di Miike, attingendo in tutto il meglio del cinema orientale contemporaneo. Sfruttando l’ordinario e declinandolo al terrore, Sono ricama situazioni inedite e di durissimo impatto, costruendo a parole sequenze memorabili come un dialogo tra madre e figlia che risuona dell’eco di continenti che collidono, devastante rappresentazione di odio come raramente si e’ visto nelle arti tutte.
Non rinuncia ad accompagnare le scene dalla musica classica anzi in piena sfida della memoria, recupera il Mahler di viscontiana memoria e non solo ne rinfresca il suono ma combatte ad armi pari con "Morte a Venezia" per il predominio sulla commozione.
Bel finale a sorpresa, come suo solito del resto, che sempre piu’ lo accomuna ad un ipotetico Palahniuk con gli occhi mandorla e dedito al cinema ma in fondo il suo pregio principale resta il saper ridefinire la follia e ingentilirla con le vesti dell’amore, forse una maledizione in un mondo d’odio.

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