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Gusci di blog

Creato il 04 agosto 2010 da Lucas

Mi pare che questo post di Malvino (mi compiaccio stia risalendo alla grande nella «sinusoide ciclotimica del blogger») completi il discorso; ma non lo chiude, anzi, lo apre ulteriormente circa la questione scrittura privata/scrittura pubblica.

È vero, non si può essere postumi in vita. In vita si possono solo avere postumi. Non ricordo dove (e me ne rincresce. Se qualcuno mi aiutasse è ben accetto), ma mi pare che esista una sorta di paradosso del monaco trappista che, più o meno, sostiene questo: se i postumi dell'ubriachezza fossero antecedenti all'ebbrezza e all'euforia dell'inebriamento, i monaci trappisti sarebbero tutti degli alcolisti.

Cosa c'entra questo paradosso col discorso scrittura privata/scrittura pubblica?

Vado a tentoni, ma mi pare che un nesso vi si possa trovare. Vediamo, e mi scuso se ripeto alcune cose già dette. Son circa tre anni che ho scoperto, frequento e faccio “parte” del mondo dei blog. Attualmente, per me, bloggare sia come produttore che come consumatore di post significa essere simile a un monaco trappista che ha il dono di godere dell'inebriamento alcolico dopo aver patito paradossalmente prima i postumi di una sbronza. Cerco di spiegarmi meglio. Conduco una vita molto poco ricca di eventi esterni: mondanità, viaggi, cinema, teatro, concerti, dibattiti, riunioni di partito, convivi, sagre, feste, balli eccetera sono delle rarità. Per me (e lo dico con la consapevolezza che, un giorno, questo potrà essermi ritorto come un'accusa) essere qui nella rete, nei blog è una sorta di vita moltiplicata. «Oh, poverino... come sei ridotto!» sento già ridere alle mie spalle «e ti credo che sei visceralmente antiberlusconiano, antiecclesiastico! Lo sei perché sei un risentito che cerca di dare sfogo alla sua rabbia mal covata facendo sfoggio di sarcasmo e ironia mal posta, di moralismo, di critica ritrita che non certo appartiene ai veri uomini e alle vere donne del fare» (mi dilungo troppo. Taglio).

Essere qui dentro una consorteria consapevole, o una loggia improbabile, o una cricca a nostra insaputa rappresentate da una marginale comunità di blogger che scrivono, leggono, corrispondono e che entrano in relazione per comunicare ed esprimersi – ecco questo è per me fonte primaria di piacere intellettuale (e non solo) che ricevo in dono dopo aver patito la mole di eventi e notizie nella quale sono quotidianamente immerso come semplice spettatore passivo.

Io sono diventato un alcolizzato di post, di scrittura privata/pubblica condivisa. Ammetto la mia dipendenza bloggeristica. E non voglio guarire, non voglio essere, al momento, disintossicato.

Mi ricordo quando, sui vent'anni, cercavo in continuazione Guido Ceronetti su La Stampa (mia mamma: «O come mai tu compri La Stampa tutti i giorni figliolo? Tu vuoi regalare i soldi agli Agnelli?») o Beniamino Placido su La Repubblica, o Luigi Pintor su Il Manifesto (mi fermo cogli esempi, ce ne avrei a bizzeffe). Adesso, passati i quaranta, cerco... ma sì cerco voi, cari amici linkati (non vi cito, sapete chi siete). Trovo molto più intellettualmente appagante questa corrispondenza blogghistica che la ricerca di articoli di fondo dei quotidiani che, nella maggior parte dei casi, so sempre dove vanno a parare. Anche le terze pagine sono ormai conquistate (è la legge del mercato) da vari scrittori giovani di successo che hanno facoltà di coprire lenzuoloni sul Corsera come se niente fosse (vedi – cito i primi che mi vengono in mente – Avallone, Giordano, Piperno, Covacich) e che, appena li scorgo corro ad accendere il pc e a riporre il giornale nella raccolta carta. Son prevenuto, lo so. È che non mi va di subire, ingoiare, assorbire. Voglio espellere, espettorare e sentire voci che, come la mia, hanno la stessa esigenza.

Et voilà: è tutto. Mi torna in mente Gottfried Benn (forse l'avevo già postato, ma non gli avevo messo il tag e non lo ritrovo. Riscrivo, ne vale la pena: è una delle cose più belle che abbia mai letto).

«Le cose dello spirito sono irreversibili, vanno avanti per la loro strada sino alla fine, sino alla fine della notte. Con le spalle al muro, nell'angoscia delle stanchezze, nel grigio del vuoto, leggete Giobbe e Geremia e tenete duro. Formulate le vostre tesi nella maniera più spietata, perché solo le vostre frasi restano a rappresentarvi e a dare la vostra misura quando l'epoca volge al tramonto e mette fine al canto. Ciò che non esprimete non esiste. Vi fate dei nemici, sarete soli, un guscio di noce sul mare, un guscio di noce dal quale si leva un cigolio di suoni ambigui, un battere di denti nel freddo, uno sperduto tremare davanti ai vostri stessi brividi; ma guardatevi bene dal lanciare un SOS - prima di tutto non vi ode nessuno, e poi la vostra fine sarà dolce dopo tanto navigare».

Gottfried Benn, Pietra, verso, flauto, Adelphi, Milano 1990 (trad. Gilberto Forti).

P.S. (l'ho ritrovato, ma l'ho riscritto lo stesso senza copia e incolla).


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