Fa un po’ specie parlare di “uscita dai sotterranei del nostro underground” per una band che praticamente non ha quasi visto nessuna “luce” (come tante delle produzioni delle quali ci occupiamo, bisogna ammetterlo per onestà). Eppure, e non certo per presunzione, a me è sempre interessato provare a capire di quale pasta fossero fatte certe storie a noi vicine e spesso oscurate (volutamente o meno dalla cultura dominante è poi un altro paio di maniche), non basterebbe un articolo per comprenderlo a dovere. Se penso quindi alle musiche che mi piacciono, un posto lo riservo a questi sognatori e dropout capitolini, figli di una cultura fiera, schietta, profondamente innervata nel nostro Paese, d’altronde un “corpo” si vede anche dall’ombelico, no? E Roma è logicamente quella parte centrale della Nazione nella quale siamo nati (perdonate la banale metafora). Cosi le parole di Roberto Giannotti, lucide, che sanguinano quasi, colme di passione e voglia di non arrendersi mai, fanno proprio al caso nostro, e danno un senso a ciò che non sembra quasi più averne. Non mi resta che augurarvi una buona lettura.
Partiamo da Quinto Quarto. È un lavoro che mi ha colpito, per il titolo stesso, e per la forte impronta espressiva e stilistica, ma anche per come è riuscito a sublimare in musica certe vostre idiosincrasie, come ad esempio la denuncia di un vertiginoso “scadere” della società odierna, e probabilmente di tante nullità in campo artistico. Io almeno ho pensato a queste caratteristiche. Ci ho visto giusto?
Roberto Giannotti: Certamente. Quinto Quarto fa suonare gli scarti della contemporaneità, della finta “modernità” che incolla la materia grigio/beige dell’italiano consapevolmente schiavo e sottomesso comunque e dovunque. Attorno a quegli scarti, a quella putrida materia informe che si affaccia sine die all’appuntamento della mangiatoia collettiva, è comunque possibile trovare un nesso logico e riadattarlo all’illogico, all’ordine del caos. Il contrario del metodo “gramsciano”, così stracolmo di moralità e desideroso di interpretare l’immaginario popolare collettivo, facendolo proprio e così controllarlo e addomesticarlo. Un approccio più malatestiano, nel senso di Errico Malatesta…
Avevate incominciato ad uscire dai sotterranei dell’underground italiano già un paio di anni fa con le ristampe di Souvenir Of Italy/La Merda Che Fuma e La Prima Volta. Come ho già avuto modo di affermare nella recensione di Quinto Quarto, non vi avevo mai sentiti nominare prima. Devo dire che anche tra molti degli addetti ai lavori il vostro nome non circolava (la prima pubblicazione, omonima, risale al 1985). È stata quindi solo una mia distrazione, o magari di tipo “collettivo” secondo voi? E come avete vissuto questo lungo periodo, diciamo cosi, di “anonimato”?
GustoForte è sempre stato ai limiti del cosiddetto underground italiano. Per scelta sicuramente. Ma anche per la particolarità tutta italiana di genuflettersi al potentato d’appartenenza. Secoli di dominio papalino hanno plasmato l’autostima degli abitanti dello Stivale, trasformandoli in mendicanti di consenso attraverso il Potere, qualunque esso sia. In Italia non è mai nata una vera “critica musicale indipendente”, come si era tentato negli anni Settanta nel cinema, nella letteratura e nell’arte contemporanea, con peraltro scarsi risultati. Negli anni Ottanta, il combinato disposto della mescolanza tra negozi di dischi, distributori, organizzatori di concerti e editoria, era micidiale. Oggi le cose vanno un pochino meglio, ci sono belle firme e interessanti progetti editoriali. Ma nella maggior parte, anche oggi, vige la regola del “chi non cede alla ius primae noctis è destinato all’oblio”. Noi preferiamo l’oblio consapevole. Perché, come ama dire Gianluca Arcopinto, folle produttore cinematografico, meglio l’autonomia che “l’indipendenza”: parola pelosa, pericolosa e senza senso, soprattutto in Italia. E poi nell’oblio abbiamo continuato ad agitare la schiuma italica: producevamo manufatti sonori (cassette, vhs, dischi registrati alla stazione Termini di Roma dentro una micidiale macchinetta) e li abbandonavamo nelle strade delle città. Cosa che continuiamo a fare anche oggi. Il rapporto paritario, uno a uno, è il più interessante. Poi è così analogico, quindi conflittuale.
Mi piacerebbe sapere perché vi siete ispirati alla galleria “L’Attico” di Fabio Sargentini (figura storica della avanguardia artistica capitolina) per un vostro pezzo (il più lungo ed articolato dell’ultimo disco). Una delle motivazioni potrebbe essere anche di tipo “generazionale”, o sbaglio? Certo forse eravate troppo piccoli per assistere ad uno dei concerti più importanti lì tenutisi, alludo per esempio all’esibizione di La Monte Young.
Siamo abbastanza grandicelli da dire “noi c’eravamo”. Calcola che Francesco suonava con Jenny Sorrenti, ergo… Ma a parte riferimenti generazionali (la mia adolescenza è tutta nei Settanta), il lavoro di Fabio Sargentini è stato unico ed irripetibile. E quindi valeva tutto il tributo a lui, e a quella generazione che ha dato l’ultima vera scossa culturale all’Italia.
Mi dite in breve di come e quanto è cambiata Roma (la vostra città) a livello culturale dagli anni Settanta/Ottanta ad oggi?
Roma nei Settanta era il centro del mondo, la Berlino di oggi. La “contemporaneità” accadeva prima a Roma e poi, in replica ma già repertorio, nel resto del mondo. Parlo ovviamente dell’arte contemporanea, del teatro, del cinema e delle prime sperimentazioni video. L’Attico, il Beat ‘72, il Filmstudio, le decine di cantine e gallerie d’arte dettavano il presente a tutto il mondo. Tutto questo si mescolava alla Roma popolare, quella di Pasolini, al sangue delle bombe e al dominio della Banda della Magliana. Una meraviglia, credimi! Nella musica siamo stati sempre un po’ sfigati, derivativi, ecco forse è la parola giusta. Gli Ottanta sono stati preda del reflusso gastro-intestinale del decennio precedente: la parola d’ordine era post/moderno, tutto era post/moderno, anche una scopata assumeva quel sapore. Oggi? Lo sperma di quelle scopate ha raggiunto gli ovuli di Roma Est; è possibile sentire qualche odore simile a quelli dell’Attico di Sargentini in qualche anfratto della tangenziale… ma c’è bisogno di sangue e merda per far crescere qualche diamante. E devo dire che l’autunno promette bene. Matteo Renzi non riuscirà a far cambiare verso (il suo) all’Italia, ma sicuramente farà rinascere il conflitto, quello vero, quello che produce energia, idee e coraggio. Elementi essenziali nell’arte. Siamo fiduciosi. Tra una cinquantina d’anni gli studenti si imbroglieranno quando parleranno di questi decenni: tratteranno Renzi come un Tambroni qualunque…
Come vi siete trovati (come band, intendo) a gestire l’uscita di un nuovo disco, e che tipo di risposte avete avuto dal pubblico e dagli addetti ai lavori? Avete suonato al festival Thalassa al Dal Verme, siete soddisfatti di quella serata?
Suonare ci diverte sempre. Per noi è un’esperienza molto performativa, quasi sciamanica, anzi, tolgo il quasi. Il pubblico si è “perso” molto all’interno del nostro percorso sonoro. E questo è importante per noi. L’esperienza ad un concerto di GustoForte deve essere molto totalizzante, cuore e cervello debbono fondersi in una sostanza sonora e nutrire i sensi. Dal vivo siamo in sei e con l’inserimento di Silvia alla batteria, che ha solo 26 anni, abbiamo trovato una sintesi tra passato e presente.
Roberto, tu che gestisci la Plastica Marella (Editore In Modo Moderno), come ti senti ad affrontare da piccolo discografico il mondo musicale italiano (intendo anche in termini di vendite), e soprattutto come sei riuscito ad ottenere i nastri di Pape Satan di Fabio Fabor, una delle ristampe più interessanti e misteriose degli ultimi anni?
Plastica Marella (Editore In Modo Moderno) è una bella scommessa, soprattutto mentale. Creare prodotti sonori diversamente udibili è sempre stato un mio obiettivo. Mi diverte essere l’artefice dell’oggetto sonoro dall’inizio alla fine, dalla registrazione alla confezione dei pacchetti. Un artigiano sonoro, un editore primo Novecento. Poi tutte le produzioni di Plastica Marella (Editore In Modo Moderno) sono progetti, non semplici uscite discografiche. Mi piace l’idea della costruzione, del suo sviluppo e poi dell’esplosione in pubblico… in questo mi sento un microscopico Sargentini. Le vendite vanno avanti in modo analogico, lente ma costanti nel tempo. I vinili sono tutti pressati a mano, in vinile vergine da 180 grammi. Devo dire che ritrovarli in giro per il mondo, in Giappone, Inghilterra, Stati Uniti, Russia, mi commuove, ma solo perché sono vecchio. In arrivo prossimamente il progetto delle Tapes Amateur, elettroacustica per fluidi vaginali. Poi una nuova avventura di alcuni di GustoForte: un progetto a dir poco dirompente. Infine dovrebbe uscire anche il mio lavoro personale, ma tutto dipende dalla pigrizia che, fortunatamente, non mi abbandona mai. GustoForte, discograficamente parlando, si riposa un po’ nel 2015. Ma dal vivo è sempre pronto a disturbare la vostra quiete nervosa. Fabor? Semplicemente ho messo insieme degli indizi e ho trovato l’abitazione della figlia. Semplice!
Ci sono gruppi ed etichette di oggi che seguite con attenzione e che ci sentite di consigliare?
Siamo ascoltatori onnivori, perditempo acustici. Possiamo dirti cosa ascoltiamo in questo periodo, tipo playlist ideale. Vediamo…
“Understanding Of Gravity / De Sitter Space” – Von Tesla
“Cosmic Love” – Al Doum & The Faryds
“Sarah’ Ngweha” – Aktuala
“Pitted” – Pharmakon
“Yellow Corduroy Wall” – Bleaching Agent
“Granaglia” – Heroin In Tahiti
“Nt Mbokam” – Assane Thiam
“Blood Echo” – Barn Owl
“Denizalti Rüzgarlan” – Okay Temiz
“But The Sound Keeps Coming” – Mike Weis
“Quantum Physics” – Can
“Importa” – Negra Branca
“Dream” – Clipping
“The Release” – Sadat & Alaa Fifty Cent
“Yandé” – Dieuf-Dieul De Thiès
“Marshall Law” – Kate Tempest
“Monroes Stockport” – Leyland Kirby Presents V/Vm
“New Life” – Low Jack
“Never Defeated” – Fhloston Paradigm
Penso che sarebbe interessante vedervi all’opera per la colonna sonora di un film. Vi piacerebbe farlo? E nel caso, per quali registi? Oppure lo avete già fatto ed io come al solito non me ne sono accorto?
Già quello che facciamo è una sorta di film per le orecchie. Ci piace nascondere nei brani diverse narrazioni, “storie ossimoro” che si combattono e alla fine si mescolano. Ma, se parliamo di desideri, sicuramente ci intriga dare “narrazioni sonore alternative” a film tipo “Matalo!” di Cesare Canevari, capolavoro assoluto, tra psichedelica e psicanalisi, un western inarrivabile, senza quasi dialoghi, solo suono d’ambiente. Oppure a “L’Imperatore di Roma” di Nico D’Alessandria, altro capolavoro assoluto della cinematografia “altra”. Tra i contemporanei, invece, qualsiasi cosa di Michelangelo Frammartino, un genio destinato all’oblio. Ma, come raccontava Nietzsche, l’oblio è una necessità per ciascun uomo per conseguire la felicità. Amen.
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