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Guy Gavriel Kay: The Last Light of the Sun

Creato il 08 ottobre 2013 da Martinaframmartino

 

Guy Gavriel Kay: The Last Light of the Sun

The Last light of the Sun era uno dei pochi romanzi di Guy Gavriel Kay che avevo letto una sola volta. Ora mi rimane Ysabel da rileggere e River of Stars da leggere per la prima volta. Ho pubblicizzato le opere di Kay a ben quattro editori, possibile che nessuno si decida a pubblicarlo? Uno in realtà l’ha fatto, visto che Fanucci ha acquistato i diritti della Rinascita di Shen Tai qualche mese dopo la mia segnalazione. Solo che il romanzo ha venducchiato, come spesso capita agli autori non particolarmente famosi – e la fama di Kay in Italia non è certo molto vasta – che non beneficiano di battage pubblicitari paurosi. Non credo sia stato un fiasco, ma neanche un bestseller, e sto iniziando a sospettare che Fanucci consideri chiuso il loro rapporto editoriale. E gli altri tre editori? Io mi sto stancando di aspettare senza avere notizie, mi sa che se non scoprirò nulla per quando verrà pubblicata l’edizione tascabile di River of Stars, l’acquisterò.

Guy Gavriel Kay: The Last Light of the Sun

La mappa della duologia The Sarantine Mosaic di Guy Gavriel Kay

L’ambientazione di The Last light of the Sun è nordica. Il mondo è lo stesso di The Lions of Al Rassan e della duologia The Sarantine Mosaic, ma siamo in tutt’altra zona. Sailing to Sarantium e il suo seguito Lord of Emperors sono ambientati a Sarantium, che potremmo paragonare a Bisanzio. Per i suoi romanzi Guy Gavriel Kay si ispira spesso a determinati periodi storici e ambientazioni, e anche in questo caso non fa eccezione. Sarantium non è Bisanzio e non solo perché nel mondo di Kay esistono determinati elementi magici che non esistono nel nostro. Le due città sono diverse, i due mondi sono diversi, perché Kay non vuole che i fatti storici realmente accaduti limitino la sua possibilità di portare la storia nella direzione che preferisce, e vuole poter tenere in sospeso il lettore con l’incertezza su quello che avverrà. Ho già parlato della sua fantasy storica qualche tempo fa: http://librolandia.wordpress.com/2012/07/18/guy-gavriel-kay-e-la-fantasy-storica/.

La Sarantium dei romanzi è, più o meno, la Bisanzio di Giustiniano e Teodora. La loro storia, quella di Crispin e di tutti gli altri personaggi che vivono nella capitale, si interrompe solo per qualche pagina per mostrare un personaggio – di cui non ricordo il nome – che darà vita a una nuova religione paragonabile a quella islamica, la religione asharita.

Guy Gavriel Kay: The Last Light of the Sun

La mappa di The Lions of Al-Rassan di Guy Gavriel Kay

The Lions of Al-Rassan è stato scritto prima, e la mappa delle due opere è lievemente diversa, ma è ambientato dopo. La religione asharita è ormai consolidata e c’è una certa tensione fra i seguaci delle tre religioni principali professate nella penisola in cui è ambientata la storia, quella asharita appunto, quella jaddita – che si richiama in parte a quella cristiana ed era già la religione dominante di Sarantium, e quella kindath, che ricorda la religione ebraica. Pur con tutte le differenze del caso, il romanzo è ambientato in un territorio che sembra la Spagna della reconquista e della cacciata dei Mori, e uno dei personaggi ricorda da vicino – pur senza esserlo – El Cid Campeador.

The Last light of the Sun, romanzo scritto dopo i tre già citati, è certamente ambientato dopo The Sarantine Mosaic, visto che al suo interno vengono citati fatti di Lord of Emperors. Non so come si collochi cronologicamente rispetto a The Lions of Al-Rassan visto che non c’erano riferimenti diretti, o se c’erano mi sono sfuggiti, ma la cosa è poco importante.

La mappa richiama abbastanza quella dell’Europa. Se Sarantium ricorda Bisanzio e i due stati di Al-Rassan e Esperana che si dividono la penisola ricordano la Penisola Iberica, i territori di questa nuova storia possono essere la Penisola Scandinava, la Danimarca o il sud dell’Inghilterra. In questo caso una mappa non c’è, ma non ce n’è bisogno. Thorkell Einarson e suo figlio Bern sono dei vichinghi. Il primo ha il mare e le battaglie nel sangue, non per nulla è diventato ricco e famoso grazie alle scorrerie di tanti anni prima. Bern è cresciuto in un’epoca diversa, in una situazione diversa, ma a volte la vita porta a percorrere sentieri imprevedibili, che siano totalmente nuovi o già percorsi da altri. Aeldred, re degli Anglcyn, potrebbe essere il sovrano di un territorio inglese, e infatti per certi versi è ispirato alla figura di Alfredo il Grande. Intorno a loro ruotano diversi personaggi, dai quattro figli, due maschi e due femmine, di Aeldred ad Anrid, una delle ragazze che vive presso una veggente e ad Alun ab Owyn, un giovane principe dal notevole talento musicale. Questi sono solo i personaggi che si vedono di più, ma molti altri fanno la loro comparsa nel romanzo, alcuni giocando un ruolo fondamentale, altri mostrandoci come i grandi eventi possano modificare, o sfiorare senza particolari conseguenze, la vita delle persone. Quello che ogni volta mi lascia senza fiato è la straordinaria abilità di Kay con le parole. Che siano personaggi che si vedono per un intero romanzo o per solo una manciata di pagine io finisco invariabilmente per amarli, e spesso per soffrire con loro e per loro. Non solo. Nessuno come lui è in grado di influenzare le mie emozioni con solo una manciata di parole. La sua costruzione è lenta, difficilmente le sue storie catturano dalla prima riga. Ci si entra piano piano fino a quando non ci si accorge di non poterne più uscire. E poi, all’improvviso, arriva la frase. Una sola riga, per cambiare tutta una visione del mondo. Per illuminare tutto ciò che è accaduto prima, per aprire prospettive insospettabili per il futuro. Non che le parti lente non mi piacciano. Chiunque ha letto almeno un po’ dei miei commenti sul blog o degli articoli per FantasyMagazine sa quanto io adori Robert Jordan e George R.R. Martin, non proprio gli scrittori più sintetici del mondo. Se loro mi piacciono anche quando sono lenti, che problema c’è con Kay? A differenza loro Kay quando serve sa far trascorrere mesi interi ai suoi personaggi senza narrarci nulla, vedi quanto avviene fra la prima e la seconda parte di A Song for Arbonne, perché non sono mesi significativi per la storia. Il tempo gli serve per costruire il mondo e fornirci informazioni fondamentali, prima di colpirci con una forza che ha dell’incredibile.

Guy Gavriel Kay: The Last Light of the Sun
Quello di The Last Light of the Sun è un mondo duro, in cui solo i duri possono riuscire a vivere. Non è un facile slogan ma la realtà. In una terra in cui le incursioni dal mare possono arrivare con una certa frequenza o sai combattere o muori. E anche se sei un incursore puoi trovare difensori più forti o organizzati di te, o può arrivare una tempesta e distruggere la nave su cui stai navigando. Se sei una donna e non hai una famiglia alle spalle, o se hai un qualche tipo di handicap fisico, la sopravvivenza non è affatto facile. I personaggi di Kay lottano, e non tutti sopravvivono. Come sempre ci sono morti che spezzano il cuore, ma sempre arriva un momento nella vita in cui abbiamo il cuore spezzato. Ci sono rivolgimenti di fronti. Ci sono un paio di duelli che seguiamo con il cuore in gola. Ci sono donne che si scoprono impotenti e lottano contro i limiti imposti dalla loro condizione. Ci sono dubbi. Ci sono speranze. C’è un elemento fantastico più forte rispetto a quanto non avvenga nella maggior parte dei romanzi di Kay successivi al Paese delle due lune, la cui presenza complica ancora di più la trama. C’è una storia che, ancora una volta, mi ha catturata e non mi ha più lasciata andare. Mi sa che a breve leggerò, o rileggerò, qualcos’altro.



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