Dopo trecento metri il panico mi aveva tolto il fiato, svuotato l'ardimento, schiaffeggiato. Così mi sono deciso a retrocedere, tornare sulla vecchia strada, soffrire, sì, comunque, ma perlomeno con la sicurezza di non smarrirmi, di non giungere in ritardo. Succedesse quello che doveva succedere, avrei almeno potuto incolpare qualcun altro della mia sofferenza. Ero lì lì per tornare sulla strada vecchia, quando all'angolo scorgo una bancarella. C'è un signore che vende degli oggetti. Sono cappelli. Quel signore è un cappellaio. Qua penso un'altra cosa: un cappello dalle larghe falde mi coprirà dagli sguardi che giungono dall'alto e mi impedirà di ricambiarli. E'stata una buona idea, credo. Mi avvicino alla bancarella già operando una scelta. Ancor prima di fermarmici ho già visto il cappello che voglio. E' grande, scuro, con un fiocco viola... larghissimo. Lo indico al cappellaio. Ma quell'omone è distratto. Sta parlottando con un altro cliente, che si sta provando un cappello, che lo compra, e poi i due si salutano. Capisco il meccanismo. Mi devo provare il cappello. Lo faccio. Il cappellaio inarca le sopracciglia. E' un cappello da donna, signore... Forse per lei sarebbe più adatto questo... E me ne indica uno bianco, con una fascia nera, di paglia... lo provo... con dei gesti forse un po' equivoci gli faccio intendere che ne vorrei un altro un po' più largo. Me ne passa uno, allora, enorme. Sembra un ombrello. Me lo calca sulla testa. E' perfetto. Con questo è proprio a posto, signore. Poi quando uno è un bell'uomo come lei, con qualsiasi cappello starebbe comunque bene. Dice sorridendo: con qualunque cappello, non con qualunque cosa. La furbizia proverbiale dei commercianti... Ma mi fa pensare. Soprattutto il fatto che mi abbia definito "un bell'uomo". L'altro giorno, allo specchio, mi sono guardato senza pensare di accertarmi se lo fossi. Devo ricordarmi, la prossima volta che passerò davanti ad uno specchio, di stabilire con oggettività se sono un bell'uomo. Più che altro per sapere se quest'individuo mi sta sfottendo oppure no. Comunque il cappello lo compro. Mi rendo conto di non avere il portafogli. No. Invece no, ce l'ho. E' da molto che non lo apro, non compro mai niente. Estraggo delle banconote. Il cappellaio mi declama il costo dell'articolo, quasi cantando. Il cliente prima di me ha contrattato. Io sento di non riuscire a farlo. Allora guardo le banconote, cerco quella giusta, quella della cifra esatta che mi è stata richiesta. Non c'è. Ne trovo una di taglio grosso il doppio. E' il minimo che ho. Forse sono ricco. Il cappellaio cerca il resto. Mi consegna due piccole banconote. Poi si cerca in tasca come un forsennato in preda alle pulci delle monete. Le estrae. Ne ha un pugno. Cerca quelle adatte. Me ne consegna una decina. Sì, dieci precisamente. Me le porge tendendomi la mano chiusa. Io tentenno, poi apro la mia, gliela porgo facendo un mezzo inchino. Lui le lascia gocciolare dalla sua alla mia mano. Lo guardo negli occhi, provando un moto di ripulsa. Mi deconcentro così, ed indietreggiando istintivamente faccio cadere a terra tutte le monete. Trovo estremamente umiliante raccogliere le monetine per terra. Se non lo fai pensano tutti che tu sia uno sprecone, un riccone eccentrico e ti danno dell'idiota. Se lo fai goffamente pensano che sei un maldestro pitocco senza dignità. Le raccolgo, ma sono sparpagliate dappertutto sul marciapiede. Ci metto un po', le conto: sono nove. Scorgo la decima monetina sotto alla bancarella. La vedo perché sto così piegato. Se un passante non si piegasse, non la potrebbe vedere mai quella monetina. Penso così che non si possa accorgere nessuno che io stia trascurando di raccogliere anche quell'ultima moneta e che nessuno avrà così niente da dire a riguardo. E la lascio là. Non dovrei mai cambiare strada, questa è la verità.
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Dopo trecento metri il panico mi aveva tolto il fiato, svuotato l'ardimento, schiaffeggiato. Così mi sono deciso a retrocedere, tornare sulla vecchia strada, soffrire, sì, comunque, ma perlomeno con la sicurezza di non smarrirmi, di non giungere in ritardo. Succedesse quello che doveva succedere, avrei almeno potuto incolpare qualcun altro della mia sofferenza. Ero lì lì per tornare sulla strada vecchia, quando all'angolo scorgo una bancarella. C'è un signore che vende degli oggetti. Sono cappelli. Quel signore è un cappellaio. Qua penso un'altra cosa: un cappello dalle larghe falde mi coprirà dagli sguardi che giungono dall'alto e mi impedirà di ricambiarli. E'stata una buona idea, credo. Mi avvicino alla bancarella già operando una scelta. Ancor prima di fermarmici ho già visto il cappello che voglio. E' grande, scuro, con un fiocco viola... larghissimo. Lo indico al cappellaio. Ma quell'omone è distratto. Sta parlottando con un altro cliente, che si sta provando un cappello, che lo compra, e poi i due si salutano. Capisco il meccanismo. Mi devo provare il cappello. Lo faccio. Il cappellaio inarca le sopracciglia. E' un cappello da donna, signore... Forse per lei sarebbe più adatto questo... E me ne indica uno bianco, con una fascia nera, di paglia... lo provo... con dei gesti forse un po' equivoci gli faccio intendere che ne vorrei un altro un po' più largo. Me ne passa uno, allora, enorme. Sembra un ombrello. Me lo calca sulla testa. E' perfetto. Con questo è proprio a posto, signore. Poi quando uno è un bell'uomo come lei, con qualsiasi cappello starebbe comunque bene. Dice sorridendo: con qualunque cappello, non con qualunque cosa. La furbizia proverbiale dei commercianti... Ma mi fa pensare. Soprattutto il fatto che mi abbia definito "un bell'uomo". L'altro giorno, allo specchio, mi sono guardato senza pensare di accertarmi se lo fossi. Devo ricordarmi, la prossima volta che passerò davanti ad uno specchio, di stabilire con oggettività se sono un bell'uomo. Più che altro per sapere se quest'individuo mi sta sfottendo oppure no. Comunque il cappello lo compro. Mi rendo conto di non avere il portafogli. No. Invece no, ce l'ho. E' da molto che non lo apro, non compro mai niente. Estraggo delle banconote. Il cappellaio mi declama il costo dell'articolo, quasi cantando. Il cliente prima di me ha contrattato. Io sento di non riuscire a farlo. Allora guardo le banconote, cerco quella giusta, quella della cifra esatta che mi è stata richiesta. Non c'è. Ne trovo una di taglio grosso il doppio. E' il minimo che ho. Forse sono ricco. Il cappellaio cerca il resto. Mi consegna due piccole banconote. Poi si cerca in tasca come un forsennato in preda alle pulci delle monete. Le estrae. Ne ha un pugno. Cerca quelle adatte. Me ne consegna una decina. Sì, dieci precisamente. Me le porge tendendomi la mano chiusa. Io tentenno, poi apro la mia, gliela porgo facendo un mezzo inchino. Lui le lascia gocciolare dalla sua alla mia mano. Lo guardo negli occhi, provando un moto di ripulsa. Mi deconcentro così, ed indietreggiando istintivamente faccio cadere a terra tutte le monete. Trovo estremamente umiliante raccogliere le monetine per terra. Se non lo fai pensano tutti che tu sia uno sprecone, un riccone eccentrico e ti danno dell'idiota. Se lo fai goffamente pensano che sei un maldestro pitocco senza dignità. Le raccolgo, ma sono sparpagliate dappertutto sul marciapiede. Ci metto un po', le conto: sono nove. Scorgo la decima monetina sotto alla bancarella. La vedo perché sto così piegato. Se un passante non si piegasse, non la potrebbe vedere mai quella monetina. Penso così che non si possa accorgere nessuno che io stia trascurando di raccogliere anche quell'ultima moneta e che nessuno avrà così niente da dire a riguardo. E la lascio là. Non dovrei mai cambiare strada, questa è la verità.
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